DAL SOLFATO

DI RAME

AL RAME METALLICO

 

ESPERIMENTO DI ARCHEOMETALLURGIA

 

DEL SETTEMBRE 2009

 

 

 

Da anni ormai, il gruppo ARCA esperimenta la fusione dei minerali di rame allo scopo di ripercorrere processi metallurgici tentati e testati in antico, cioè nell’età del Rame; quel periodo è temporalmente collocabile in Europa dall’inizio del IV alla fine del III millennio a.C. (4000-2000 a.C.); dopo questa epoca, convenzionalmente,  ha inizio l’età del Bronzo (2000-1000 a.C.).

           L’articolo presenta e descrive un modo semplice di produrre rame, quello nel quale si ‘arrostisce in padella’, nel senso usuale del termine e non con significato metallurgico, un materiale facilmente reperibile in commercio e cioè il solfato di rame. Nei giacimenti sfruttati in antico, tale minerale era sicuramente presente, mescolato sia agli ossidi (cuprite) sia ai carbonati (malachite, azzurrite) che ai silicati (crisocolla), ma non vi compariva certo in grandi quantità. I minerali citati caratterizzano la parte superiore dei giacimenti di rame, il cappellaccio, mentre la parte più interna è costituita da solfuri; detto in altro modo, gli strati superficiali dei depositi minerari, che in origine erano costituiti anch’essi da solfuri, sottoposti agli eventi atmosferici, subirono nel tempo la trasformazione in carbonati e in ossidi; il cappellaccio costituiva la parte più accessibile dei giacimenti e quindi si prestò ad essere coltivato per primo con scavi effettuati in genere a cielo aperto.

           Si può presumere che i processi fusori effettuati in antico su minerali non solforati seguissero la stessa serie di fasi di quella che ora andiamo a descrivere.

Già nell’anno 2000, utilizzando un vero forno  (una conca di argilla di 50 cm di diametro con coperchio semisferico dotato di foro di tiraggio), e quindi operando alla cieca cioè senza poter seguire ‘in diretta’ gli eventi per la presenza della carica di carbone, ARCA aveva ottenuto agendo anche allora sul solfato di rame un risultato analogo a quello sotto descritto; questo fatto ci informa di quanto anche per gli antichi fosse tutto sommato semplice ricavare, da minerali non solforati, il rame metallico... 

DESCRIZIONE DELL’ESPERIMENTO

Come si vedrà, data la piccola quantità di minerale utilizzato nella presente proposta e quindi, in proporzione, la modesta portata di aria insufflata e il relativo ammontare di combustibile consumato, ARCA non ha utilizzato un forno ma ha scelto un fornetto, cioè un crogiolo, nel quale far avvenire i processi. Tale procedura, oltre che minimizzare le spese dell’ esperimento, ha il pregio di rendere controllabili a vista, e quindi governabili con piccoli interventi mirati, i vari stadi delle trasformazioni in progress.

SOSTANZA COMMERCIALE:  SOLFATO DI RAME, formula chimica: CuSO4+5H2O,  contenuto di Cu minimo dichiarato: 25% in peso               

QUANTITÀ UTILIZZATA: 1000 grammi

QUANTITÀ TEORICA DI RAME RICAVABILE:  tra i 200 e i 250 grammi  

Dimensioni interne del contenitore refrattario aperto: 40 X 30 X 25 Cm

Dimensioni del crogiolo/forno: diametro bordo interno: 16 cm, altezza interna massima: 5 cm

Il crogiolo è di ceramica e durante tutto l'esperimento è immerso in carbone di legna (carbonella) fino al bordo

 

FASI DELLA FUSIONE

 

FASE 1: preparazione del minerale e trasformazione del solfato di rame in ossidi di rame.

Ore 14:20 accensione del carbone e immissione di aria attraverso l’ugello-1; il primo effetto voluto è il pre-riscaldamento del crogiolo; durante tutto il resto del processo, cioè sia nella fase

1 che nella fase 2, attorno al crogiolo è stato mantenuto il livello iniziale di carbonella

Ore  14:40 – si è poi posto nel crogiolo un chilogrammo di solfato di rame in granuli; il solfato è stato mescolato frequentemente con un bastoncino di legno

Ore 15:40 – a parziale copertura del crogiolo, è stato utilizzato un coperchio ceramico; durante il riscaldamento (durata: 1 ora) si è avuta copiosa formazione di acqua e di vapore d’acqua;

la perdita d’acqua fa virare lentamente il colore blu intenso del solfato verso l’azzurro/verde

            

Ore 15:55 – dopo un quarto d’ora, sempre  con frequente rimescolamento per favorire lo sviluppo di vapore e la conseguente quasi totale perdita d’acqua, il colore è divenuto grigio/bianco e il

materiale, solfato di rame anidro, gradatamente da granulare ha assunto aspetto pulverulento; solamente al diretto contatto delle calde pareti del crogiolo il materiale ha assunto un colore

bruno/nero sotto forma di un velo di ossidi di rame; la temperatura del materiale nel crogiolo si è attestata sugli 800°C circa

Ore 16:00 – dal materiale ha iniziato a sprigionarsi un intenso fumo azzurrino costituito da anidride solforosa e  da anidride solforica

Ore 16:20 – il fumo si è sviluppato poi con continuità; il materiale ha assunto un colore giallastro/bruno chiaro (parti di ossido di rame disperso in solfato anidro)

 

 

 

FASE 2:  Riduzione del materiale e formazione di metallo fuso

Ore 16:30 – il materiale in crogiolo è stato ricoperto con un cumulo di carbonella medio-grossa (evitando l’uso della parte polverosa); è stato attivato un secondo ugello per l’aria, con bocca

che insufflava entro il cumulo e posta a 2-3 centimetri al di sopra del materiale: si è fatto in modo che un pezzo di carbone fosse sempre frapposto tra la bocca dell’ugello e il materiale; questo

affinché l’ossido di carbonio, prodotto alla temperatura adatta, fosse a diretto contatto col materiale da ridurre, secondo la reazione:

 

                                                                                      CuO + CO = Cu + CO2

 

Ore 16:40 – dopo soli dieci minuti, si è constatata la rapida riduzione/collasso del volume del materiale; si è operato sul fondo del crogiolo con bastoncino di legno per coinvolgere nel processo

più materiale possibile; adeso alle pareti è però rimasto un velo di ossidi di rame bruno/nero (con conseguente, minima, perdita finale di metallo); fino al termine dell’ esperimento si è curato di

ricostituire il cumulo entro e sopra il crogiolo, man mano che l’intensa combustione consumava la carbonella

Ore 16:50 – tramite prelievo con asticella di ferro, è stata verificata la presenza di rame fuso sul fondo; in questa fase, la temperatura raggiunta dal materiale è stata di circa 1100°gradi centigradi                 

 

 

     - subito dopo si è operato così :

 

A- sono stati interrotti i due flussi di aria

 

B- con pinze, si è asportato il crogiolo dalla ’buca’/contenitore

 

C- si é versato il contenuto del crogiolo in un vassoio ceramico.

                                       

  Risultato finale:  

tra il materiale versato si è ottenuto:

-  un massello di rame

- parecchie gocce di rame (da 1 a 7 mm di diametro)

 

nel crogiolo si è ritrovata:

- un’altra massa di rame in forma lamellare,

- aderenti al fondo e sulle pareti altre piccole croste di rame.

 

Il peso totale del rame prodotto è stato di oltre 165 grammi (con resti carboniosi inglobati);

l’esperimento è durato 2 ore e 30 minuti; rifondendo il materiale, si è ottenuto un unico massello del peso di circa 160 grammi.

 

 

 

 

 IL PESO DEL RAME

OTTENUTO È STATO,

ALLA FINE, CIRCA IL 16% DEL PESO INIZIALE.

 

Con questa procedura, che ha il pregio di essere ripetibile, riteniamo di aver raggiunto un buon risultato, utile a favorire la continuazione degli esperimenti di archeometallurgia; il passo successivo, permanendo l’obbiettivo di ricavare il rame contenuto nei minerali, potrebbe consistere nella fusione di carbonati di rame e cioè malachite o azzurrite o ossidi di rame oppure altro materiale non composto da solfuri; ma, per questi minerali, l’esecuzione delle fasi dell’esperimento sopra descritto, a parte il costo più elevato, fa prevedere l’ ottenimento di risultati analoghi.

 

La vera sfida, invece, sarà costituita dal ricavare il metallo dai solfuri di rame quali la bornite e, soprattutto, la calcopirite. (a tal proposito, vedere gli  articoli a pag 1 e a pag 5).                                                                                                                                                

 

       Il Gruppo ARCA