Il presente articolo,

 descrittivo della PRIMA PARTE dell'iniziativa ARCA,

 è stato pubblicato sulla rivista

“FRAMMENTI”, Anno 2–n°2, Aprile 2010, pagg.81-89,

 Provincia di Belluno Editore.

 

 

             

                                                                                          

                                                                                                                    

  Il Progetto è stato realizzato, con il contributo del

Consorzio dei Comuni del Bacino Imbrifero Montano del Piave

 appartenenti alla Provincia di Belluno,

dal DIP. DI GEOSCIENZE dell'UNIVERSITA' DI PADOVA

e

con la collaborazione della

Soprintendenza per i Beni Archeologici del Veneto

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LEGAMI GEOCHIMICI FRA

 MINIERE, SCORIE E METALLO:

 

VERSO UN MODELLO

PER DETERMINARE LA PROVENIENZA

E LA DIFFUSIONE

DEL RAME PREISTORICO

 

Autore e collaboratori:

 

Gilberto Artioli, Ilaria Giunti, Ivana Angelini, Gruppo ARCA, Barbara Giussani,

Marcello Marelli, Sandro Recchia, Paolo Nimis, Paolo Omenetto, Igor Villa

 

 

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Introduzione:

i traccianti geochimici del metallo

 

 

               La vexata quaestio della provenienza dei metalli ha  spesso e volentieri provocato discussioni animate tra archeologi e non pochi grattacapi agli archeometallurgisti. Le discussioni più accese si sono svolte intorno all’ultimo decennio del secolo passato con numerosi articoli che mettevano in discussione la validità degli isotopi del piombo, e più precisamente l’utilizzo dei rapporti isotopici fra 204Pb, 206Pb, 207Pb, e 208Pb per identificare i giacimenti di origine, con particolare riferimento alla diffusione dei lingotti di rame dell’Età del Bronzo nell’ambito mediterraneo. Non è certo questa la sede per entrare nel dettaglio delle accese discussioni che riguardano soprattutto la possibilità di frazionamento isotopico durante l’estrazione del metallo, la natura ed i meccanismi che soggiacciono alla variazione dei rapporti isotopici durante i processi geologici e minerogenetici, e la valutazione statistica dei campi di distribuzione dei depositi conosciuti. Per i dettagli si rimanda il lettore ad un buon articolo generale sul metodo (Gale and Stos-Gale 2000), e ad alcuni articoli riassuntivi che ricostruiscono e discutono i problemi all’origine del dibattito (Tite 1996, Pollard 2009, Gale 2009).

                Ciò che si vuole sottolineare ai fini della presente discussione è che il metodo di base che utilizza i rapporti isotopici del piombo quali traccianti geochimici per la provenienza del metallo (non solo rame, ma anche piombo, oro, etc.) è scientificamente corretto ed affidabile: i rapporti isotopici misurati sono dovuti al decadimento delle serie U, Th di cui gli isotopi del Pb sono i prodotti stabili finali, ed i valori sperimentali (normalmente 207Pb/204Pb vs 206Pb/204Pb; 208Pb/204Pb vs 206Pb/204Pb) dipendono essenzialmente dall’età del giacimento e dalla sua storia genetica. Ripetuti controlli sperimentali sembrano indicare che non ci sono frazionamenti o variazioni apprezzabili dei rapporti iniziali durante i processi di estrazione metallurgica: tutte le evidenze confermano che i rapporti misurati nel metallo e nelle scorie sono rappresentativi dei rapporti esistenti nei minerali utilizzati come carica per l’estrazione, all’interno dell’errore di misura.

                L’informazione derivante dalle misure degli isotopi del Pb è affidabile, ma deve essere interpretata correttamente: giacimenti coevi derivati dallo stesso tipo di sorgente primaria hanno gli stessi valori dei rapporti isotopici, anche se geograficamente distinti; viceversa giacimenti vicini ma con genesi differente possono mostrare valori isotopici anche molto diversi. Inoltre i valori iniziali potranno subire variazioni per tutti i fenomeni secondari e le contaminazioni che interessano il giacimento durante la sua storia geologica. Questo provoca la potenziale grande variabilità dei valori misurati per un unico giacimento, e la notevole sovrapposizione dei campi relativi a giacimenti diversi.

            Riassumendo quindi, il metodo basato sui rapporti isotopici del Pb è intrinsecamente valido e corretto, ma lascia  notevoli ambiguità interpretative per giacimenti coevi e/o con complicate storie minerogenetiche.

Un utilizzo corretto e non ambiguo dell’origine del metallo può essere effettuato solo con l’introduzione di ulteriori parametri giacimentologici, petrologici, chimici o altro, e comunque con una completa ed accurata interpretazione degli aspetti geologici dei giacimenti coinvolti. Esempi in cui i valori isotopici del Pb sono stati utilizzati con successo nella determinazione della provenienza e della diffusione del metallo, soprattutto del rame, non mancano e testimoniano della loro importanza quali traccianti (Gale and Stos-Gale 2000, Artioli et al. 2009). 

                Altri parametri chimici che sono stati ampiamente utilizzati per la caratterizzazione dei metalli antichi sono gli elementi minori che seguono il metallo durante l’estrazione (alligazione accidentale), o  che sono aggiunti successivamente per cambiarne le proprietà (alligazione intenzionale).

Questi elementi minori, che nel caso del rame si riducono in genere ad una dozzina con concentrazioni variabili fra 102-104 ppm (i.e. 0.01-1.0 %), sono normalmente analizzati per fornire indicazioni sulla composizione del metallo, al fine di collocarlo in una sequenza evolutiva-composizionale o per scopi classificativi (Pernicka 1999, 2004, De Marinis 2006). In genere, nel caso del rame gli elementi analizzati sono: Cr, Mn, Fe, Co, Ni, Zn, As, Ag, Sn, Sb, Pb, e Bi. La loro presenza e concentrazione può essere indicativa delle associazioni mineralogiche dei minerali che compongono la carica. Per esempio la presenza di As e Sb è comunemente interpretata quale indicazione di cariche di polisolfuri con  quantità apprezzabili di tetraedrite-tennantite, i cosiddetti fahlore (o fahlerz), anche se in verità altri minerali comuni quali antimonite, bournonite, gersdorffite o cobaltite possono esserne l’origine. In generale quindi l’utilizzo degli elementi minori presenti nel metallo quali traccianti geochimici può aiutare a confinare la paragenesi dei possibili giacimenti di origine. La combinazione di traccianti isotopici e geochimici è di conseguenza la strategia vincente per uscire dalle ambiguità interpretative derivate dal solo utilizzo dei rapporti isotopici del piombo, ed è effettivamente stata utilizzata recentemente con discreto successo per manufatti di ferro (Schwab et al. 2006, Degryse et al. 2007). 

                Questa stessa strategia è stata da noi recentemente applicata in modo più esteso al caso del rame preistorico alpino mediante la misura di altri parametri sperimentali, raramente o mai analizzati in precedenza, che assumono un particolare significato geochimico per la discriminazione della paragenesi o del tipo di giacimento (Artioli et al. 2008): alcuni elementi (ad es. Ga, Ge, In, Se, Te) presenti in tracce o ultratracce forniscono importanti indicazioni sulle mineralizzazioni ed i processi di formazione del giacimento, mentre altri, come le terre rare (REE), conservano memoria delle rocce incassanti del deposito. Inoltre, il rapporto isotopico del rame (63Cu/65Cu) misurato su giacimenti formati in diverse condizioni (Zhu et al. 2000, Larson et al. 2003) sembra frazionare in funzione della temperatura degli eventi mineralizzanti. 

                Pertanto la misura sperimentale del rapporto isotopico del Cu non solo fornisce un’informazione ulteriore ed importante sui processi minerogenetici, ma permette anche di riconoscere se il metallo è stato estratto da minerali primari (solfuri), secondari (malachite, cuprite, brochantite, crysocolla, etc.), o rame nativo. Esiste infatti un progressivo e sistematico arricchimento nell’isotopo leggero durante la sequenza di alterazione e rideposizione: bornite<chalcopyrite<malachite,cuprite<rame nativo (Gale et al. 1999, Klein et al. 2004, Colpani et al. 2007).

                Il progetto di ricerca in corso sul rame alpino(http://www. geoscienze. unipd.it / ~artioli / aacp/welcome. html), coordinato dall’Università di Padova, coinvolge il gruppo di chimica analitica dell’Università dell’Insubria (Como), l’Institut für Geologie (Bern), il gruppo ARCA (Agordo), il museo di Storia Naturale dell’Alto Adige (Bolzano), il Museo Trentino di Scienze Naturali (Trento), e numerose soprintendenze archeologiche, specificamente la soprintendenza del Veneto per quanto riguarda le aree agordina e bellunese (dr.ssa Elodia Bianchin).  Il progetto tende (1) alla definizione di un database di riferimento delle mineralizzazioni cuprifere alpine, (2) alla valutazione della capacità discriminante dei vari parametri geochimici, sia elementari che isotopici, (3) al trasferimento dei modelli discriminanti alle scorie di fusione ed agli oggetti metallici.

                Gli studi in corso si focalizzano sul rame preistorico, al fine di minimizzare le complicazioni interpretative dovute ad eventuale riciclo e miscelazione del rame metallico o alla alligazione dello stagno nel bronzo.

 

 

Metodi sperimentali ed analisi statistica avanzata:

modelli discriminanti delle miniere.

 

                La strategia di misura sviluppata prevede la quantificazione mediante spettrometria di massa di circa 60 elementi minori ed in tracce, nonché la determinazione dei rapporti isotopici del rame e del piombo. I database vengono poi analizzati con analisi statistica avanzata, in particolare con tecniche di analisi multivariata, al fine di creare modelli per la discriminazione dei distretti minerari studiati e per l’eventuale identificazione della provenienza dei reperti da queste aree.

La descrizione dettagliata della selezione, preparazione, ed analisi dei minerali e dei campioni è riportata in dettaglio altrove (Artioli et al. 2008). In questa sede si vuole ricordare l’estrema importanza della scelta e caratterizzazione dei campioni, che devono essere rappresentativi delle mineralizzazioni, e completamente interpretati dal punto di vista mineralogico, petrologico, giacimentologico, e geochimico.

                Per ciascuna area mineraria i campioni sono stati distinti in: (a) mineralizzazioni di rame primarie, (b) mineralizzazioni dovute a successive rimobilizzazioni dei solfuri primari, (c) mineralizzazioni secondarie di bassa temperatura (alterazione), (d) rame nativo, quando presente. Tutti i campioni sono stati caratterizzati preliminarmente mediante diffrazione di polveri di raggi-X (XRPD) e microscopia ottica in luce riflessa (RL-OM).     Le analisi degli elementi in tracce e degli isotopi del Cu sono stati effettuati mediante spettrometria di massa (ICP-QMS) presso i laboratori dell’Università dell’Insubria, Como, mentre gli isotopi del Pb sono stati misurati mediante spettrometro MC-ICP-MS presso il laboratorio isotopico dell’Institut für Geologie, Universität Bern.  

                Le calibrazioni isotopiche sono state effettuate con riferimento agli standard NIST SRM 981 (204Pb/206Pb = 0.05904 ± 0.00004, 207Pb/206Pb = 0.91464 ± 0.00033, 208Pb/206Pb = 2.16810 ± 0.00080) e NIST SRM 976 (63Cu/65Cu = 2.2440 ± 0.0021). 

Il database al momento comprende campioni di tutte le principali mineralizzazioni delle Alpi Orientali, con particolare riguardo alla zona agordina, che è stata campionata ed analizzata con particolare attenzione quale area campione per la validazione dei modelli.     

                      

                                                                                                     

 

La Fig. 1 mostra la localizzazione delle miniere campionate.

                L’insieme dei dati analitici è stato oggetto di un attento ed innovativo lavoro interpretativo che utilizza metodi multivariati essenzialmente basati su una combinazione di analisi delle componenti principali  (PCA) ed analisi discriminante (PLS-DA). L’analisi dati che utilizza tutti i parametri geochimici, significativamente, permette di superare le ambiguità interpretative già discusse che si presentano se vengono analizzati i soli dati isotopici del piombo (Fig. 2). Infatti le mineralizzazioni di Agordo rappresentano un caso tipico in cui i valori misurati dei rapporti isotopici del piombo corrispondono perfettamente a quelli di mineralizzazioni geneticamente simili (Calceranica, Vetriolo) quali quelle appartenenti ai depositi a solfuri massivi delle mineralizzazioni esalativo-sedimentarie pre-erciniche metamorfosate (Omenetto 1967, Frizzo 2004).

                Comprensibilmente quindi, miniere come  Valle Imperina e Calceranica, distanti circa 60-70 km, hanno un segnale isotopico largamente sovrapposto (Fig. 2), mentre paradossalmente miniere prossime a valle Imperina, quali le mineralizzazioni dell’alta Valle del Mis (Vallalta, Pattine, California), interessate da contaminazioni di meta basiti di vario tipo (prasiniti, scisti), hanno un segnale isotopico del Pb più eterogeneo e diversificato. L’utilizzo quindi dei soli rapporti isotopici del piombo quali traccianti porterebbe in questo caso a notevoli ambiguità nell’assegnazione delle provenienze del metallo.

                L’utilizzo combinato di tutti i traccianti chimici misurati permette invece una buona distinzione delle miniere agordine rispetto a tutte quelle fino ad ora analizzate, che comprendono la quasi totalità delle mineralizzazioni cuprifere delle Alpi Orientali, alcune mineralizzazioni liguri (Libiola, Monte Loreto), ed alcune altre mineralizzazioni delle Alpi Occidentali prese come riferimento (Saint Véran - Queiras) (Fig. 3).

Modelli simili sono stati sviluppati per tutte le altre aree minerarie studiate, e permettono una discriminazione completa grazie all’analisi di tutte le correlazioni fra i parametri misurati.

                Tutti i modelli sono altamente significativi dal punto di vista statistico. 

                                                                                          

                                                                                                         

 

                                                                                                                                                                             

 

 

 

Estensione del modello a scorie ed oggetti metallici

     

                 Al fine di controllare la possibilità di applicare i modelli  discriminanti ottenuti per le miniere ad eventuali prodotti di estrazione (scorie e metallo), sono stati analizzati con le stesse metodologie analitiche: (a) alcune scorie di fusione presumibilmente settecentesche trovate in prossimità ed all’interno delle fornaci situate ad Agordo, località Ponte Alto, (b) alcune scorie di fusione di età incognita trovate presso Pattine, località Pian delle Loppe (Fig. 4), (c) due frammenti di rame grezzo trovati presso la medesima località, (d) un frammento di panella di rame trovata nel torrente Cordevole, in prossimità delle fornaci.

                A parte le scorie trovate all’interno delle fornaci, i reperti non hanno un preciso significato archeologico ed essendo ritrovamenti di superficie non sono databili. La loro importanza per questo studio deriva dalla loro sicura derivazione da minerali locali, che permette di valutare il trasferimento del segnale geochimico dei prodotti di estrazione: scorie e rame grezzo.

 

                                                             

                                                                                   

 

                Tutti i reperti, di inequivocabile produzione agordina, sono perfettamente descrivibili dai modelli discriminanti sviluppati (quadrante NE in Fig. 3). Anche i dati misurati degli isotopi del Pb concordano perfettamente con la derivazione da minerali delle miniere di Valle Imperina (scorie: rombi verdi in Fig. 2, frammenti di rame: triangoli azzurri in Fig. 2), seppure sulla base dei soli dati dei rapporti isotopici del piombo non sarebbe possibile distinguere le miniere agordine da quelle dell’Alta Valsugana.

                L’analisi discriminante basata su tutti i parametri chimici ed isotopici non ha invece nessuna difficoltà nel distinguere la provenienza agordina da tutte le altre mineralizzazioni delle Alpi Orientali.

                I risultati infatti indicano la probabile applicabilità dell’analisi dei traccianti alle scorie di fusione di rame ed al metallo non alligato prodotto in antichità.

In via del tutto preliminare, un frammento di rame di forma irregolare ed età incerta trovato occasionalmente in superficie fuori dall’area agordina (Valbelluna, Artioli et al. 2008) è stato analizzato e confrontato con i modelli disponibili. Il campione viene descritto in modo soddisfacente dal modello dei traccianti sviluppato per le mineralizzazioni della Val dei Mocheni (miniera Grua vo Hardombl), mentre non sembra essere minimamente correlato con il modello agordino, indicando che il metallo non sembra essere stato prodotto con minerali della zona.

                I risultati ottenuti in questa prima fase del progetto indicano quindi che è possibile discriminare con confidenza le diverse sorgenti di minerali cupriferi, e che i modelli sviluppati possono distinguere il metallo estratto con minerali di zone minerarie diverse.  

In collaborazione con la Soprintendenza per i Beni Archeologici del Veneto (dott.ssa Elodia Bianchin) sono ora in corso analisi su diversi oggetti di importanza archeologica (frammenti di metallo grezzo e pani provenienti da san Pietro in Tuba, oggetti della Valle dell’Ardo — Bus del Buson), al fine di verificare la provenienza del metallo utilizzato per la fabbricazione.

 

                                                                     

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