STORIE E LEGGENDE

da un prossimo libro di Giuliano Palmieri a cura di Giuliano Dal Mas

    Il calendario della storia nell’Agordino va spostato molto indietro rispetto alle ipotesi, o meglio alle certezze del passato che non ammettevano la presenza dell’uomo sulle montagne se non in modo saltuario.

    A Karl Felix Wolff fino a qualche anno fa eravamo debitori di alcune bellissime pubblicazioni contenenti racconti ambientati nelle Dolomiti meglio note come Monti Pallidi. A molti le leggende da lui narrate erano parse poco più di fiabe raccontate sia pure in modo dotto ed esemplare. A trent’anni dalla morte dell’infaticabile studioso austriaco, i suoi racconti acquistano contorni più definiti e vicini alla realtà. Merito di uno studio dal titolo “I Regni perduti dei Monti Pallidi”, autore Giuliano Palmieri (all’ampio saggio ha collaborato anche il figlio Marco).

    Gli antichi cantici riprendono a pulsare, a perpetuarsi nel ricordo delle popolazioni indigene, non più solo attraverso le parole del Wolff, ma anche attraverso questo nuovo studio che spalanca una finestra sulla storia e la preistoria della Regione Dolomitica.

I ritrovamenti archeologici avvenuti nell’alta montagna, costituiscono una prima ed importante chiave di lettura della storia antica dei nostri monti. La montagna un tempo dichiarata inabitata, perché lontana, inospitale, riprende a vivere anche nei secoli bui della nostra conoscenza, arricchisce di nuovi significati le ricerche di Wolff.

    I popoli di Fanes, Duranni, Landrines, Badojeres, Catubrenes, Peleghetes, Cajutes, trovano una propria probabile identità e localizzazione.

    Difficile dire quanto attingano dalla realtà antica i racconti di Wolff, quanto dalla fantasia del loro autore e dai molteplici passaggi tra generazione e generazione. Il libro di Palmieri si colloca quale primo tentativo scientifico di dare una risposta alle domande che si pongono. Le leggende non sono favole. Le leggende non vanno solo lette, ma anche interpretate. Il recente saggio di Palmieri diventa lo strumento utile e indispensabile per comprendere e intuire l’antichità della presenza dell’uomo nella montagna dolomitica.

    Il nucleo delle leggende dolomitiche più antiche sembra appartenere al territorio di Pieve di Livinallongo (catena del Padon e Rù de l’Aurona) ove è nota la breve ma significativa leggenda dell’Aurona, ai comprensori del passo Falzarego e Giau, all’altopiano di Fanes; a questi territori appartengono le leggende che parlano della principessa Dolasilla, del grande guerriero Ey de Net (Occhio di Notte) vincitore di quel mago stregone capace di trasformasi in quell’essere ributtante, un mulo mezzo ischeletrito e mezzo decomposto che cammina usando solo le zampe anteriori e che è conosciuto col nome di Spina de Mul.

    Il M. Pore (ai cui piedi è situato Caprile) propaggine meridionale della catena Nuvolau- Averau è un centro della storia antica dell’Agordino. La stele rinvenuta nel 1886 da un contadino che falciava l’erba a 300 metri dalla cima del M. Pore (2405 m) è un documento importantissimo. Le iscrizioni paleo-venete in essa scolpite, ci parlano della sua antichità e della presenza dell’uomo confermata anche dalle tre più recenti iscrizioni romane di confine che si trovano ad alta quota nella parte settentrionale del gruppo della Civetta. In realtà una quarta iscrizione collocata lungo la dorsale dei Viai, oggi peraltro dichiarata dispersa, denota una maggiore antichità. 

    Le miniere del Fursil situate a Nord-Est di Caprile a monte di Colle S. Lucia e delle sue frazioni di Pian e Fossal, sono molto più antiche di quanto possano testimoniare le fonti scritte. Ne è quasi certamente una prova la leggenda della Delibana ambientata nel mondo Medievale e rinascimentale, ma che forse affonda le sue radici nel paleoveneto. Il racconto che si svolge nelle miniere di ferro del Fursil rinnova il ricordo del sacrificio di giovani e belle fanciulle che dovevano sacrificare il momento migliore della loro giovinezza scendendo per alcuni anni (almeno sette) nelle viscere della terra per rinnovare nella stessa la diminuita capacità riproduttiva.

    A supporto di quanto esposto da Palmieri, tralasciando i numerosi indizi che si sono accumulati, anche i ritrovamenti archeologici più recenti. In primis la scoperta dell’uomo di Mondeval. Il ritrovamento dell’antico cacciatore mesolitico sepolto sotto un grande masso in località Mondeval de Sora a Sud-Est del Passo Giau, è un dato importante che conferma ancora una volta la presenza umana in tempi lontani. Il graffito trovato sul M. Crot, la punta di lancia in selce rossa rinvenuta sul versante settentrionale del M. Cernera quasi alla sommità, di una punta di freccia in quarzo nei pressi del luogo ove venne ritrovata la stele del M. Pore, sono altre testimonianze significative del lontano passato che ritorna.

    Le iscrizioni romane databili al 1° secolo d.C. e collocate nella parte settentrionale del gruppo della Civetta ad alte quote oscillanti tra i 1800 ed i 2100 metri, “rappresentano una situazione anomala e rara per l’età romana” e come meglio precisa Palmieri si deve “pensare al valore economico che avevano questi pascoli naturali per delle valli che ancora erano coperte quasi interamente da boschi”. Le iscrizioni romane “ci fanno ancor meglio comprendere i motivi reali delle antiche lotte tra Fanes ed i popoli confinanti” narrate nelle leggende più antiche di K. F. Wolff. Al tempo dei Romani vanno invece riferite le lotte tra Trusani, Contrinesi e Arimanni. Così Palmieri: “…è inevitabile pensare che i Trusani delle leggende dei Monti Pallidi non siano altro che i romani” i quali non sono più piccoli “eserciti” di pastori “armati alla meglio con archi e frecce, asce e spade, con scudi rustici e ben poche corazze, scarsamente addestrati e forti solo della loro vigoria fisica e della conoscenza individuale del mondo della montagna: quella che ora avanza è una poderosa macchina da guerra, ricca di esperienza, di mezzi e di risorse” che non si ferma nemmeno di fronte alle difficoltà ambientali, di fronte al pericolo che poteva incombere in quella “incredibile strettissima forra dei Serrai di Sottoguda, unica via di accesso al valico del Fedaia sotto la Marmolada”. Il nome del giovane generale che capeggiava tra il 17 ed il 13 a.C. le truppe romane era Nerone Claudio Druso, da cui certamente nacque il nome di Trusani ed il toponimo di Pian Trusan malamente storpiato in Pian Trevisan.

Giuliano Dal Mas

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