Al Museo di Agordo

 

 la metallurgia di ARCA - Luglio 2009

 

 

        

 

 

 

      Dopo anni di studio e sperimentazione sulla antica metallurgia del rame la nostra Associazione ha voluto mettere a disposizione di tutti le conoscenze sino ad oggi acquisite, racchiudendole ed esponendole in un breve percorso museale. Dal mese di luglio 2009 infatti, il Museo Geologico Paleontologico di Agordo ha gentilmente messo a disposizione di ARCA un angolo del piano -terra permettendo di esporre al pubblico il frutto di questa nostra impegnativa attività.

Il percorso inizia con la messa in mostra dei minerali da cui l’uomo ha estratto il rame, cominciando dal rame nativo utilizzato fin dalla preistoria, passando poi ai carbonati di rame, malachite e azzurrite, proseguendo col minerale principe dei giacimenti, la calcopirite, concludendo con una carrellata della maggior parte dei minerali contenente rame, ma poco o per nulla utilizzati ai fini della sua estrazione.

All’inizio del percorso,  come indicato nel primo cartellone esplicativo esposto al Museo, viene messo in evidenza il minerale di stannite;  essendo questo un solfuro di rame e stagno ha con molta probabilità permesso all’uomo di produrre il primo bronzo.

In effetti, fatta eccezione per il rame ricavato direttamente dal rame nativo, all’inizio il metallo era frutto della fusione di un insieme di minerali di rame contenenti anche altri elementi non intenzionalmente aggiunti: questi facevano sì che il risultato fosse una lega a base di rame. Il passaggio ha richiesto, nella storia della metallurgia, la costruzione dei primi forni di fusione, con la conseguente e progressiva loro evoluzione.

 

 

Il percorso espositivo procede, con la ricostruzione, in dimensioni reali, del primo tipo di forno in argilla per fusione, molto probabilmente derivato da quello già allora conosciuto: il forno da ceramica. In effetti il forno per fondere il minerale di rame consisteva nello scavo di una buca nel terreno, possibilmente in luogo naturalmente drenato onde evitare il ristagno di umidità (che non avrebbe permesso il raggiungimento della temperatura adatta alla fusione dei minerali), e nel successivo rivestimento della superficie con argilla; al di sopra della buca veniva posto un coperchio, in argilla cotta, munito di foro centrale con funzione di camino; questo forno era argilla cotta (ceramica), per l’insufflaggio dell’aria prodotta da mantici di pelle azionati a mano; il combustibile era costituito da carbone di legna.

 

 

Accanto a questa ricostruzione è proposta la zona di lavorazione del metallo ottenuto dalla fusione del minerale: essa consiste in un’altra buca, molto meno profonda della prima, dove il rame ricavato dal primo forno veniva portato allo stato liquido all’interno di crogioli di ceramica; il metallo fuso veniva colato nei vari stampi con la forma, in negativo, degli oggetti desiderati.

 

    Un terzo cartellone riporta  l’evoluzione della struttura dei forni; si ipotizza che già i Romani, e probabilmente anche i Greci, abbiano innalzato di molto le pareti dei forni sopra il livello del terreno; le dimensioni della parte sopraelevata aumentano, ma il fondo interrato a catino rimane fino a circa il 1500, quando avviene la prima grossa rivoluzione nella storia della metallurgia: la costruzione degli altiforni. Questo processo raggiunge l’apice nell’ottocento; è in quel periodo che gli altiforni, da normali, si trasformano nei moderni altiforni.

Come accennato in precedenza la maggior quantità di rame estratto proveniva dai solfuri (calcopirite, bornite ecc.) i quali però per le proprie caratteristiche chimiche, complicavano la separazione del rame dagli altri elementi a causa della presenza di una grande quantità di zolfo; inoltre, in base al tenore di rame e alla quantità di zolfo presente si dovevano cambiare le modalità di trattamento del minerale; ciò portò all’introduzione di un altro processo di trattamento da attuare prima della fusione e cioè la rostitura (arrostimento o calcinazione).

 

 

La rostitura veniva effettuata nelle roste, strutture costituite da un’area perimetrata da pietre: sul fondo dell’area veniva posta della legna che andava poi coperta da un cumulo di minerale di varia pezzatura, il quale a sua volta veniva ricoperto con lo stesso minerale ridotto in polvere, oppure più frequentemente con terra battuta, in modo da controllare la temperatura interna della combustione; essa non doveva mai superare i 500° C circa, altrimenti si rischiava che avesse inizio la fusione del minerale prima dello indispensabile processo di desolforazione, impedendo la separazione del rame nel successivo vero e proprio processo di fusione del minerale.  

 

Questa rostitura poteva variare sia nel metodo che nel tempo, in funzione del tenore in rame dei solfuri; si andava da un arrostimento veloce e violento, per minerali ricchi in rame (e meno in zolfo), sino a quello che durava molti mesi, a fiamma bassa alimentata dalla combustione dello stesso zolfo che si liberava nel processo; in Valle Imperina, dove i minerali erano poveri in rame, si  era costretti ad utilizzare il secondo tipo di arrostimento. Nel Museo è esposta anche la rosta ricostruita da ARCA e già presentata al Museo di Montebelluna in occasione della mostra: ‘Il Fuoco di Vulcano’, e successivamente, al Palazzo delle miniere di Fiera di Primiero (Notiziari ARCA n° 17 e n° 20): riproduce, in scala 1:1, un tipo di rosta in uso per molti secoli, dal periodo Romano  all’alto Medioevo se non anche in tempi precedenti.

 

Il percorso espositivo termina con la ricostruzione in scala 1:4 dei forni del 1500 descritti da Giorgio Agricola (Georg Bauer) nel testo ‘De Re Metallica’, vero vangelo della metallurgia del XVI secolo, e presenti anche in Valle Imperina, dove sono stati usati sino all’inizio del 1700 dalle famiglie patrizie che allora avevano concessioni in Agordino; successivamente, la Repubblica di Venezia, statalizzando la miniera, fece costruire i primi altiforni per la produzione di rame nella zona al Canal di Valle Imperina, dove hanno funzionato quasi sino alla fine del 1800; essi, anche se successivamente modificati con vari interventi, sono tuttora visibili.

 

 

 

 

 

 

Questo excursus sintetizzato in pochissimo spazio è soltanto un sunto della lunga ricerca metallurgica seguita nella preistoria e nella storia per la produzione del rame: esso andrebbe ampliato e magari collocato all’interno dell’imponente struttura che ospita i forni di Valle Imperina: che è già un museo di per sé.

 

 

 

 

 

 

 

La Mostra di Agordo, che rimarrà aperta fino al mese di giugno 2010, e sarà visitabile a richiesta, presenta al piano superiore del Museo una ricca raccolta di disegni prodotti in un ventennio di paziente lavoro dall’ex- Responsabile dell’Ufficio Tecnico di Valle Imperina degli anni ’50, Gianfranco Mazzolli, e riproducesti mappe dei sotterranei, macchinari pompatori e altro; l’esposizione propone anche documenti originali. Viene pure esposta una sezione di strumenti topografici sia appartenenti alla collezione dell’Istituto Follador che ricostruiti su modelli utilizzati in antichità. Non manca un esempio di galleria mineraria dotata di strumenti di misurazione.

 

 

 

 

Dino Preloran

 

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