Ulisse tra i Lestrigoni: mito e realtà

 

di

Gabriele Fogliata, socio del Gruppo Archeologico Agordino ARCA

e

Alberto Dalla Rosa, dottorando alla Normale di Pisa

 

Intervento di Gabriele Fogliata

Con questo articolo viene presentata al lettore la serie di constatazioni che, anche durante una gradevole vacanza familiare in Corsica, ha fatto emergere da un classico dell’epica, l’Odissea di Omero, una problematica letteraria e archeologica.

 La tesi sostenuta nel presente lavoro è che il paese dei Lestrigoni, di cui si narra nel decimo libro dell’Odissea, possa essere identificato con l’odierna valle del torrente Ostriconi, in Corsica settentrionale; eccone le argomentazioni.

Riguardo al procedimento con cui si è arrivati all’identificazione sul campo, l’ordine temporale degli avvenimenti e il relativo susseguirsi delle ipotesi sono stati i seguenti.

Nell’estate 2000, avviene casualmente la prima associazione mentale tra il toponimo L’Ostriconi (nome di località e di torrente) e il lemma Lestrigoni di scolastica memoria, associazione che si è rivelata in seguito fruttifera.

La successiva analisi del X Libro dell’Odissea ha permesso  di rilevare che i toponimi in esso indicati sono relativi a:

un territorio e un popolo: Lestrigonia, Lestrigoni  (Laistrugoniv, Laistrugovne")

un abitato: la città di Lamo/Telepilo  (Lamou ptoliveqron)

una fonte: la fonte Artacia  (Artakiv?)

e, fatto del tutto imprevedibile, il raffronto effettuato con i toponimi riportati da una mappa attuale ha permesso di tracciare ben tre corrispondenze e precisamente tra Lestrigoni e L’Ostriconi, tra Lamo e Lama e tra Artacia e Urtaca: conviene rilevare che tre corrispondenze tra toponimi antichi e attuali, in un territorio limitato,  è da ritenersi una combinazione altamente improbabile e quindi degna di nota.

Questa concatenazione di eventi è divenuta il punto di partenza per una rilettura del X libro dell’Odissea secondo vari registri:

a) Il registro archeologico/leggendario

b) Il registro linguistico/toponomastico

c)   Il registro esegetico/interpretativo.

Si dà qui un primo resoconto delle ricerche in questi tre ambiti, che saranno poi ripresi in maniera più approfondita in vista di una pubblicazione scientifica sull’argomento.

 

Per andare con ordine, viene proposta l’analisi prima di L’Ostriconi, poi di Lama e infine di Urtaca; l'analisi è utile a dettagliare e a consolidare man mano le, all’inizio degli avvenimenti, solo intuite/fortuite, corrispondenze toponomastiche.

(A) L’Ostriconi: si inizia lo studio dalla geografia di Ostriconi, o meglio della parte bassa della valle del torrente Ostriconi, quella rivolta ad ovest, verso il mare (Fig.1). 

 

 

 

Per giungere all’imprevisto risvolto archeologico, si trae dal X Libro del poema la descrizione del bello e maledetto porto: un luogo nel quale, incontrando i Lestrigoni, trovano la morte gli occupanti di ben undici navi su dodici, i cui equipaggi erano composti dai compagni di guerra e di

 

peregrinazioni dell’eroe acheo Ulisse nel contrastato viaggio di ritorno da Troia a Itaca, la sua isola

(Odissea X, vv. 86-97, in maiuscoletto vengono rimarcati i versi descrittivi del porto; le traduzioni presentate sono di Alberto Dalla Rosa)

 

Allora arrivammo al bel porto, attorno al quale corrono

rocce impraticabili continuamente su entrambi i lati,

mentre due promontori sporgenti uno di fronte all’altro

si distendono all’imboccatura  e stretta è l’entrata;          v. 90

allora tutti vi fecero entrare le navi curve

ed esse furono ormeggiate nel concavo porto, una vicino

all’altra: non sorgeva infatti onda là dentro, né grande

né piccola, ma tutt’intorno v’era una bianca calma.

Io solo tenni la nave nera al di fuori,                                          v. 95

all’entrata del porto, legando la cima a una roccia.

Quindi, salito su una vedetta rocciosa, mi misi in piedi.

 

 

È stata proprio la raffigurazione geografica così puntuale che ha posto l'autore nella posizione, poco praticata dalla critica, di poter supporre le descrizioni come veridiche e di non ritenerle semplici invenzioni utilizzate quale contorno del puro messaggio poetico; d’altra parte, non essendo lo scrivente un cultore della letteratura antica, gli sia concesso di seguire fili di pensiero non necessariamente ortodossi.

 

Stagno attuale di Cannuta; nell'ellisse i due promontori, bocca del supposto antico 'porto'; il promontorio a nord-ovest ha reso reperti attribuibili ad un arco di tempo di 1700 anni: dal 1000 a.C. al 700 d.C. circa

 

La necessità di verificare una possibile corrispondenza tra i luoghi suddetti e le descrizioni omeriche ha portato, nel luglio 2001, alla troppo breve spedizione a l’Ostriconi dell’anno successivo avvenuta assieme ad un altro socio del gruppo ARCA, Manlio, con le nostre rispettive consorti. Durante l’inverno, intanto, erano state raccolte alcune frammentarie informazioni  sulla vallata omonima e riassumibili in:

a)    notizie su alcuni ritrovamenti archeologici dell’età del Rame e del Bronzo,

b)    la leggenda relativa ad un porto romano insabbiato e mai localizzato, 

c)    la constatazione personale che la quota sul livello del mare della parte bassa e terminale della vallata non supera i 6-8 metri: ciò avviene per ben due chilometri all’interno a partire dalla costa/spiaggia fino al grande stagno chiamato l’Etang de Cannuta, dal quale poi si elevano le pendici dei rilievi che portano a Urtaca, a Lama, al monte Astu e, a sud est, al passo presso Petralba che immette nella valle del Golo, quindi alla costa orientale della Corsica: un passaggio-chiave per connettere le due coste dell'isola.            

 Le ispezioni sono avvenute tra grandi calure estive e graffianti spine del maquis, la bassa boscaglia che praticamente ricopre la Corsica; si è posta l’attenzione alla parte est dello stagno, zona ormai quasi del tutto asciutta (Fig.2: zona indicata nel rettangolo).

La situazione orografica ha solamente permesso di constatare che effettivamente il canneto è ristretto ai lati da pareti rocciose anche se non molto alte; se però si pensa che l’acqua del supposto porto era in antico, ovviamente, al livello del mare si devono aggiungere almeno altri sei metri apparendo quindi come rocce impraticabili. Molte altre domande rimanevano però aperte.

La verifica della conformazione della ipotetica bocca di porto è potuta avvenire solo nell’agosto 2003 (Fig.2: zona indicata nell'ellisse).

Il risultato è stato positivo e tale da sostenere almeno le seguenti quattro argomentazioni:

1- I due promontori effettivamente abbracciano, anche se in modo non eccessivamente accentuato l’ingresso al porto; in teoria si potrebbe verificare sotto il livello dello stagno quanto essi potessero rendere stretto l’accesso (v. 90).

2- Sicuramente i flutti marini, dopo due chilometri di percorrenza dell’antico golfo e una stretta bocca, per di più perpendicolare alla linea di costa, non potevano minimamente giungere a far sorgere le onde (vv.93-94) entro il porto.

3- La roccia (v. 96) al quale Ulisse ancorò la nave nera e sulla quale salì per osservare la regione può essere identificata con la parte terminale del promontorio sud-orientale che presenta verso il mare (attualmente, lo stagno) una parete risalibile senza difficoltà;  invece, dal lato est, un salto di quattro metri circa la rende irraggiungibile dal promontorio.

4- La bianca calma (v.94) può trovare riscontro nella abbondante presenza in zona di sabbia chiara originata dal perenne sgretolamento dei porfidi: sotto uno specchio d’acqua non corrugato  tale sabbia  procura sicuramente una diffusa riflessione biancastra .  

Ora veniamo all'archeologia: sempre nel 2003, durante l’ispezione del promontorio nord-occidentale della bocca (Fig. 2) questa serie di constatazioni, che sembra trovare il suo corrispettivo nel racconto omerico, si è ulteriormente arricchita di imprevisti risvolti archeologici che potrebbero essere riferiti alla leggenda del perduto porto romano e non solo: una disamina superficiale del terreno ha infatti allora permesso il recupero di parecchi frammenti ceramici appartenenti a vasellame vario (tra cui manici d’anfore) e di differente fattura (compresa ceramica sigillata dei primi secoli dopo Cristo).

L’emozione del ritrovamento ha fatto tralasciare l'ispezione al punto culminante del promontorio nord-occidentale.

La visita al trascurato cucuzzolo del sito è avvenuta nel mese di luglio 2005 assieme ad altri due soci del Gruppo ARCA, Maurizio e Sonia, e ad Alberto Dalla Rosa coautore del presente lavoro: l’attenzione posta nella ricerca di superficie ha permesso il ritrovamento di ben tre grossi chiodi metallici e una scoria di lavorazione, insieme ad altri frammenti vascolari; altra constatazione fatta in situ, la vista che si ha dal punto più elevato del promontorio occidentale spazia dal mare al porto: il luogo poteva quindi prestarsi ad ospitare una struttura quale una torre o preferibilmente un faro data la presenza dell’insenatura (ora ridotta alla parte più interna del canneto).

Rimaneva l’esigenza di informare doverosamente le autorità corse del ritrovato sito archeologico: il passaggio dell’informazione ad esperti della Corsica è invece avvenuto grazie ad una circostanza fortuita: il Festival Europeo del Cinema del 2005, tenuto annualmente ad agosto a Lama; è stata l’occasione per conoscere (oltre al Sindaco di Lama e al Presidente del Festival) il medievista Antoine Franzini, il direttore del CNR di Marsiglia Yvan Massiani e l’archeologo Olivier     

        

Reperti del Periodo Romano,                  

 individuati nel luglio 2007 

sul promontorio

 nord-ovest

del porto

allo stagno

La Cannuta

 

                                                             

   

   

                                                                      

 

 

 

 

 

    Reperti dell'età del Bronzo,

    individuati nel luglio 2007 

   sul promontorio nord-ovestdel porto

   allo stagno La Cannuta

 

 

 

 Jahasse; a quest’ultimo sono stati  mostrati e poi consegnati i reperti ceramici; Jehasse, professore all’Università di Corte e figlio d’arte della coppia di archeologi che han scavato/indagato negli anni cinquanta il maggiore sito etrusco e romano della Corsica (Alalia/Aleria), ha riconosciuto, tra i reperti, ceramiche provenienti dalla Spagna, dall’Africa, dalla Campania e dalla Liguria e distribuite lungo un ampio escursus temporale, dal II secolo a.C. al VII d.C.; i chiodi metallici e la scoria sono stati invece esaminati nei mesi successivi da Yvan Massiani: le analisi hanno mostrato che i primi sono composti di solo rame e che la seconda consiste in una scoria di lavorazione del ferro, probabilmente prodotta in loco nella fucina di un fabbro.

A quella data (2005), i tempi di insediamento del sito erano indicati da elementi discontinui: un racconto epico per l’epoca greca, da una parte, e dall’altra reperti materiali per il periodo romano e altomedievale. Nulla faceva prasagire di un possibile superamento dell’eterogeneità delle argomentazioni: invece, nel luglio 2007 con altra visita al sito, è stato individuato nella parte più alta del promontorio del faro, nei due piccoli piani rivolti a sud e posti appena al di sotto delle rocce sommitali, un buon numero di frammenti ceramici dell’età del tardo Bronzo/primo Ferro; uno di essi presenta un decoro consistente in quattro piccoli fori non passanti e allineati; non trascurabile è l’aver trovato inoltre un frammento di peso da telaio in ceramica grossolana; questi ritrovamenti accentuano la singolarità del luogo e soprattutto permettono di registrarvi la presenza umana proprio attorno al XII-IX secolo a. C.. In più, a riconferma della frequentazione nel periodo romano è da aggiungere anche l’ulteriore ritrovamento di cocci di ceramica sigillata e un altro grosso chiodo in rame analogo a quelli precedentemente già ritrovati..

 L’importante e imprevisto tassello viene ad aggiungersi al quadro complessivo e a supportare la lettura proposta poichè tali ritrovamenti permettono di constatare per la località una continuità temporale di insediamento per più di mille e cinquecento anni.                                  

                                                        

 

(B) Lama. Portiamo ora l'attenzione sul paese di Lama, la città di Lamo; nell’Odissea (v.81) troviamo alcuni elementi caratterizzanti (vedere più sotto i versi scritti in grassetto minuscolo):

a) è indicata come un'alta rocca

b) dotata di una reggia, costruzione bella a vedersi e di struttura elevata

c) è appartenente alla Lestrigonia dalle  porte lontane.

Per la caratteristica di città ‘alta’: indubbiamente Lama, vista dal mare risulta essere posta ‘in alto' a metà montagna.

La presenza di dimore slanciate verso l’alto: per la Corsica non è certamente un’eccezione e ciò vale anche per l’attuale paese di Lama.

La definizione di Lestrigonia dalle porte lontane è stata variamente interpretata dai critici dell’Odissea, considerate a volte un attributo della città, a volte della vallata, senza trovare un suo senso compiuto: il paesaggio di Ostriconi, invece, può al riguardo contribuire a formare una nuova interpretazione: vista dal mare, la valle è visibile nella sua totalità, compresi i paesi; la città di Lamo, osservata dalle navi di Ulisse, viene vista lontana quanto le sue porte: un modo per indicare che il paese non era situato in prossimità del mare.                                   

                                                           

 

(C) Urtaca:  Per quanto riguarda Urtaca; nell’Odissea Artacia non viene qualificata come un paese, come è attualmente, bensì come una fonte,  anzi la fonte,  in quanto perfino la figlia del

re se ne deve servire come d’altra parte gli abitanti della zona: la fontana viene descritta come una bella corrente (vedere i versi scritti in maiuscoletto).

 

Per sei giorni navigammo, giorno e notte ugualmente                            v.   80

e il settimo giungemmo all’alta rocca di Lamo

Lestrigonia dalle vaste porte

[…]

Due uomini scelsi e mandai con loro un araldo come terzo.

Scesi a riva, essi videro una strada liscia, su cui dei carri

portavano in città il legname dalle alte montagne.

Davanti alla città incontrarono una fanciulla che portava        v. 105

dell’acqua, la bella figlia del Lestrigono Antifate.

Ella era scesa alla fonte dalla bella corrente,

Artacia: da lì infatti erano soliti portare l’acqua in città.

Ed essi standole accanto le si rivolgevano e chiedevano

chi di essi fosse re e governasse su di loro.

Lei allora subito mostrò la dimora eccelsa del padre.

Ed essi, appena entrati nell’illustre palazzo...

 

La visita a Urtaca ha fatto parte delle necessarie verifiche nell’agosto del 2003; la sorpresa di trovarsi di fronte effettivamente ad una bella corrente, e non ad una semplice fontana, è stata notevole; tra l’altro poiché quell’estate fu la stagione più arsa degli ultimi decenni, la presenza della fresca corrente della Gargalagna  marcò ancora di  più la propria consistenza; il fatto stesso, inoltre, che la vena serve dall’anno   1979 al mantenimento di una grande riserva d’acqua per scopo antincendio conferma di nuovo la nomea di tale fonte: nomea così antica, tanto da essere menzionata nel X libro dell’Odissea? Sembrerebbe di sì.                                                                                                                  (G.F.)  

                             

                                                                                                          

 Intervento di Alberto Dalla Rosa

 

 

Ovviamente assumere una tale antichità degli insediamenti di questa regione comporta il fatto che i toponimi appena citati debbano essere anteriori alla latinizzazione dell’isola seguita alla conquista romana del 238 a.C., quindi appartenenti ad un sostrato autoctono precedente alla nascita della lingua corsa attuale; similmente bisogna ipotizzare che questi toponimi si siano conservati intatti nonostante i mutamenti linguistici.

Le conoscenze sull’origine della lingua corsa e soprattutto sugli idiomi parlati dagli abitanti dell’isola prima della conquista romana sono praticamente nulle. L’unica cosa in nostro possesso è un passo di Seneca in cui si dice che i corsi si esprimevano in maniera incomprensibile.

Nel caso però di Ostriconi, Lama e Urtaca si può essere certi che non sono toponimi di derivazione latina o greca e anzi non abbiamo nemmeno nessuna informazione certa sulla regione da fonti antiche greche o romane. Possiamo dire anche che non ci sono motivi storico-linguistici che impediscano di dire che i tre toponimi siano in continuità con quelli citati nell’Odissea. Vediamo perché:

Lama: in questo caso la parola si sarebbe tramandata praticamente intatta. La desinenza finale in -a non dà nessun problema, in quanto potrebbe essersi prodotta in molti modi e sotto diverse influenze.

Ùrtaca: l’accento è sulla prima sillaba. Dato che il vocalismo corso non prevede che una /a/ possa evolvere in /u/, è necessario pensare che in qualche momento prima della nascita della lingua corsa la fonte di Artacia fosse chiamata *urtaka, con inscurimento della vocale iniziale seguita da due consonanti, cioè in sillaba chiusa.

L’Ostriconi: importante considerare questo toponimo con l’articolo. Anche oggi in corso si parla di paesi di l’Ostriconi, valle di l’Ostriconi ecc... Non ci sono quindi difficoltà a pensare che la /l/ iniziale sia stata considerata dai parlanti come facente parte di una preposizione articolata, passando quindi da valle di *Lostriconi a valle di l’Ostriconi. Interessante vedere che anche qui troviamo lo stesso inscurimento della vocale iniziale in sillaba chiusa: da Laistrugoniv a *Lustrikonia, come a conferma dell’antichità dei toponimi.                                                        

Insomma l’esame linguistico non può dire molto, se non che è tranquillamente possibile che i tre toponimi si siano tramandati dall’epoca greca arcaica fino ad oggi, con qualche inevitabile modificazione, ma rimasti sostanzialmente inalterati

 Questa constatazione ci porta inevitabilmente a considerare un’ultima domanda: essendo che i dati archeologici confermano la presenza umana nella valle fin dall’età del bronzo e che i dati linguistici e toponomastici dicono che è possibile che quegli insediamenti avessero i nomi a noi tramandati dall’Odissea, è quindi possibile che qualche greco sia arrivato in questo luogo e abbia riportato delle notizie poi confluite nel poema  epico  redatto  più o meno nell’VIII sec. a.C.?

L’esplorazione del Tirreno è stata per tutto l’VIII secolo soprattutto un affare dei greci di Eubea, i quali fondarono la loro prima colonia a Pitecusa, cioè sull’isola di Ischia per commerciare con gli Etruschi della terraferma. Sulla loro scia si inserirono anche i Focesi, che esplorarono e si insediarono gradualmente nella parte settentrionale del Tirreno. Loro è la prima colonia greca della Corsica, la città di Aleria o Alalia, fondata nel 565 a.C., ma nel 600 avevano già fondato Marsiglia, ben più a Nord. Possiamo presupporre perciò una conoscenza precedente delle acque settentrionali del Tirreno, soprattutto della Corsica e delle isole dell’arcipelago toscano. Quanto indietro possa risalire questa conoscenza non è dato dirlo, né è da escludere che nessun greco prima dei Focesi si sia spinto a quelle latitudini. Potrebbero essere stati gli stessi Eubei di Calcide, affacciatisi sul Tirreno meridionale sicuramente già da prima della fondazione di Pitecusa, a essersi spinti, magari anche accidentalmente, fino alla costa settentrionale della Corsica.

È perfettamente lecito credere che per i Greci della fine dell’VIII secolo che stavano cominciando a porre le loro prime basi permanenti nel Tirreno meridionale, la Corsica non fosse del tutto sconosciuta, ma anzi segnasse il limite settentrionale a cui essi si erano finora spinti, quindi corrispondente alla descrizione omerica, che dice che nel paese dei Lestrigoni la notte era così breve che il pastore che rientrava alla sera e quello che usciva alla mattina quasi potevano salutarsi (vv. 82–86). Perciò, pur non potendo spingersi oltre nella ricostruzione, sembra importante la plausibilità che al momento della redazione dell’Odissea la foce dell’Ostriconi fosse stata in qualche modo visitata da dei naviganti greci, magari in un singolo sporadico viaggio, e che abbia lasciato una qualche notizia, facilmente tramutabile in leggenda per la sua collocazione agli estremi settentrionali delle rotte allora conosciute, in una regione di cui ancora non si sapeva nulla.

 

In conclusione, l’accettazione della congruenza tra la valle d’Ostriconi e la descritta terra dei Lestrigoni, basata sulla toponomastica e rafforzata da reperti archeologici, ha una conseguenza non di poco conto sulla lettura dell’Odissea: se l’identificazione di un sito è possibile, è ipotizzabile che anche le altre descrizioni geografiche esposte nell’opera corrispondano a luoghi realmente esistenti. Siamo solo all’inizio.           

                                                  (A.D.R.)    

                                                      

 

 

 

 

 

 

       Foce e vallata del fiume Ostriconi,

       viste dal mare. 

       Sullo sfondo il Monte Astu

 

 

 

 

 

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