Marzo 2007: 

IL PRIMO RITROVAMENTO DELL’ETÀ DEL BRONZO  IN AGORDINO  

In assoluto, le prime tracce del passaggio dell’uomo in Agordino risalgono ad epoche veramente antiche: una ricerca attenta esercitata da decenni dagli Amici del Museo di Belluno, integrata negli ultimi anni dall’attività di prospezione dei soci ARCA, ha permesso di comprendere quale fosse la diffusione esistente nel Mesolitico antico e recente (10.000 – 6500 anni fa) della principale risorsa degli uomini dell’epoca e cioè la caccia; nell’economia del Mesolitico di sicuro essa costituiva l’attività preminente assieme alla raccolta di frutti, erbe e bacche selvatiche. I ritrovamenti, costituiti esclusivamente da strumenti di selce (nuclei, armature triangolari o trapezoidali, punte di frecce, lamelle, grattatoi etc) e da schegge (e cioè dagli scarti di lavorazione), sono stati individuati solamente ad alte quote, soprattutto ai passi montani e alle forcelle, passaggi obbligati delle stagionali migrazioni degli animali (stambecchi, cervi etc), mandrie intercettate dai gruppi di cacciatori che presumibilmente accumulavano carne affumicata per la stagione invernale.    (vedere il Notiziario ARCA n°8, dedicato al Mesolitico  Agordino).            

 Per le epoche successive, e cioè per il Neolitico, per l’età del Rame, per il Bronzo Antico e Medio, dato il radicale cambiamento di economia, non più di sussistenza ma di agricoltura pressoché stanziale e perciò più consona a situazioni di pianura, la nostra zona non ha ancora dato segni di presenza umana, anche se non si dispera di trovare, almeno nel basso Agordino, reperti relativi alla cosiddetta rivoluzione neolitica (cocci, armature in selce, asce in pietra …).  

Invece, per l’età del Bronzo Finale e Recente, da qualche anno è noto ai lettori l’importante ritrovamento di una grande quantità di reperti ceramici avvenuto alle soglie dell’Agordino: Arca e Soprintendenza hanno infatti scavato dal 2003 al 2006 per quattro campagne archeologiche al Riparo Colaz, in Val del Mus, e di ciò i nostri Notiziari hanno puntualmente informato i lettori; si tratta però di un sito posto ancora al di fuori dei confini storici agordini, in Comune di Sedico.

Data la vicinanza alla conca agordina del Riparo posto sui Monti del Sole, da tempo si auspicava che anche la nostra zona potesse rivelare tracce di attività umane antiche di tremila anni quali le transumanze o, perché no, gli insediamenti stabili.

Nel marzo di quest’anno è apparso un primo barlume rivelatore.

Grazie ai lavori eseguiti dalla Società Veneto-Strade lungo la strada agordina ( S.R. n° 203, al km 22+500 circa) per le opere inerenti al costruendo paramassi in località Ponte del Cristo in Comune di La Valle, è stata portata alla luce ai piedi della parete rocciosa e proprio alla spalle del futuro paramassi, una piccola nicchia contenente reperti vascolari.

I reperti sono stati notati dalle maestranze della ditta SIME che con molta riservatezza e serietà hanno avvisato i collaboratori e il dirigente di Veneto-Strade ing. Sandro D’Agostini. Questi ha subito interessato il Presidente della Comunità Montana Agordina, R. Ongaro, che mi ha  contattato, convinto che ARCA fosse il primo interlocutore per una verifica specifica.

Il giorno successivo, 28 marzo, è avvenuta da parte di ARCA sia la doverosa informazione al Soprintendente ai Beni Archeologici del Veneto che l’ispezione del sito: sono intervenuto infatti in loco con i soci Fogliata, Olivotto, Preloran e Monestier: si è così preso atto della ‘preziosità’ dei reperti. 

 La prima constatazione è stata quella della presenza di due o tre vasi non troppo grandi (una ventina di cm in altezza e in larghezza) di cui uno o due fratturati (piccole olle) e un altro vaso di forma situliforme (a secchio) coricato e pressoché intero; il tutto stava depositato sulla breccia frutto dello sgretolamento di calcari; purtroppo, ma speriamo in un possibile rimedio, il materiale roccioso e parte dei cocci sono stati consolidati durante i lavori da una parziale colata di calcestruzzo. È naturalmente stato avvisato il Sindaco di La Valle Agordina, sempre attento alle conoscenze antiche relative al territorio del suo Comune.

Grazie alle informazioni ricavate sia dalle caratteristiche forme vascolari che dall’impasto ceramico visibile per le fratture (presenza di inclusi calcarei abbastanza regolari e non troppo grandi), si è azzardata una prima datazione dei reperti: età del Bronzo finale - prima età del Ferro (1100 - 900 a.C.); va notato che, contrariamente a quanto rilevabile sulla maggior parte dei frammenti ritrovati al Riparo Colaz, sulla superficie dei vasi del Ponte del Cristo è assente qualsiasi decoro, cordonatura, incisione o diteggiatura. La funzionaria di zona della Soprintendenza, dott.ssa Bianchin Citton che ha avuto in consegna a Padova i reperti, ha in prima approssimazione confermato la valutazione temporale già supposta.                          

Un altro dato importante per la comprensione del sito consiste nel fatto che dopo aver eseguito la pulizia della sezione di terra sottostante il detrito sopraddetto, sezione già creata dalla pala meccanica e alta circa un metro dal suolo ‘ruspato’, si è registrata nel terreno  la totale mancanza di altri indizi (p.e.  suoli di calpestio, carboni o altri frammenti ceramici.

Gli avvenimenti sono poi proseguiti il 3 aprile con la visita del funzionario della Soprintendenza, F. Cozza: in sua presenza, con perizia, ARCA ha asportato il ’letto’ con i cocci annessi, sono stati recuperati i frammenti sparsi e, dopo aver anche constatato l’assenza di altri reperti in loco, il tutto è stato consegnato al funzionario per un loro ricovero a Padova; si è potuto iniziare a delineare assieme come potesse essere un tempo la situazione antica e cioè che esistesse un probabile piccolo pianoro posto al livello della nicchia e asportato dalle ruspe per i lavori in corso, piano che poteva anche conservare tracce di vita del Bronzo finale ma ormai irrecuperabili. È stato anche predisposto, da parte della Soprintendenza, l’intervento di un archeologo per i necessari rilievi topografici e morfologici: la settimana successiva è infatti è intervenuto il dott. F. Cafiero, archeologo bellunese, che ha proceduto all’analisi geomorfologica del supposto ripiano; dopo aver eseguito anche un’altra sezione del declivio distante una trentina di metri dal sito (a sud del paramassi), oltre ad aver rivisitato la prima sezione e consultato il geologo M.Olivotto e il p.min. D.Preloran, Cafiero ha concluso con la conferma della presenza del piccolo pianoro creatosi per la disgregazione della roccia soprastante e per l’apporto di terre dovuto al colluvio dall’alto: il deposito si è formato a copertura del sottostante precedente apporto fluvio-glaciale in un’ansa del torrente Cordevole.

Non possiamo fare a meno di constatare che il sito si trova molto vicino allo sbocco del torrente Imperina nel Cordevole; poiché il piccolo piano difficilmente avrebbe potuto ospitare un insediamento stabile, si è invece più propensi a proporre il luogo quale punto prossimo ad un passaggio o guado del Cordevole per gente o greggi che scendendo dalla valle Imperina (provenienti dalla Val del Mis, da Voltago etc.) poteva ivi sostare per poi salire a Noach, quindi a Roit ed evitare così la stretta dei Castei nel transito verso il territorio bellunese. Ciò resta naturalmente una mera proposta da sottoporre alla verifica di altri dati.

Intanto registriamo con piacere che la Ditta esecutrice dei lavori si è complimentata con Arca per la rapidità dell’intervento, senza ritardare i lavori in corso.

Ora non possiamo far altro che attendere il restauro dei vasi per una auspicabile loro esposizione in un promesso Museo Archeologico in Agordino e lo studio da parte del personale specializzato della Soprintendenza per una riconfermata collocazione temporale dei cocci.                                   

                                   Gabriele Bernardi

 

 

 

 

 

I vasi del  Ponte del Cristo, ancora in situ.

 

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