UN’ANTICA GALLERIA DI RICERCA

IN VALLE IMPERINA

- Le miniere scomparse – parte quinta -

      Fig 1: Imbocco della ‘galleria di Valchesina’ 

La seconda parte della conferenza del 31 gennaio scorso è stata tenuta dal socio Dino Preloran e ha avuto per tema “LE MINIERE MINORI DELL’ AGORDINO”; quando possibile i lavori minerari sono stati descritti dal punto di vista documentale, altrimenti verificati di persona con ricerche sul territorio svolte dal Gruppo ARCA; Preloran ha già trattato a più riprese tale argomento nei nostri Notiziari e la conferenza ne costituisce un completamento e una sintesi; qui di seguito Dino aggiunge un ulteriore tassello all’argomento descrivendo un’antica galleria di ricerca in Valle Imperina.

Nel corso dei secoli in Valle Imperina sono stati intrapresi molti lavori minerari; le attività svolte nelle varie epoche hanno sistematicamente cancellato le strutture di quelle precedenti: delle più antiche se ne sono perse quasi completamente le tracce, oppure quelle che rimangono sono di difficile riconoscimento. Ricostruire la storia mineraria diventa quindi arduo se ci si affida solamente ai pochi documenti esistenti; spesso questi sono imprecisi o interpretano scritti precedenti sommando errori ad errori, alterando quasi del tutto la realtà descritta: è proprio per ricostruire una lettura più affidabile che il nostro Gruppo Archeologico cerca sempre di affiancare al documento un riscontro tangibile e possibilmente inconfutabile. La scoperta della ‘galleria di Valchesina’ di Rivamonte è stata una tappa importante, perché ha fornito la dimostrazione di come in passato fosse scavata una galleria di ricerca.

Un primo esempio di antichi scavi ci fu dato qualche anno fa quando ne visitammo uno, un solo troncone, venuto alla luce durante il tracciamento del nuovo sentiero che porta alla galleria Magni, un probabile stollo di servizio collegato alla galleria santa Barbara, di classica forma trapezoidale e mancante di tracce ‘moderne’ di lavorazione: era lungo circa 5 m scavato con poca regolarità e in grado di fornire poche indicazioni (Fig.4).

Dovevano passare alcuni anni prima che nel 2000, in un'altro dei tanti sopralluoghi fatti lungo il torrente Imperina, e precisamente in basso rispetto alla frazione Valchesina, il nostro socio Enzo Galeone si imbattesse in un vero reperto di storia mineraria antica. Trovammo infatti l’imbocco di una galleria che ci apparve immediatamente degna di attenzione perché mancante delle tracce di uso dell’esplosivo: ciò permette di collocarla nel tempo prima della fine del 1500 perchè è solo in quegli anni che, nel Vicentino, la mina venne introdotta dalla Repubblica di Venezia per scopi minerari; anzi, per essere più precisi riguardo alle nostre zone, fu presumibilmente nel 1627 che Francesco Crotta cominciò ad usarla in Valle Imperina forse per la realizzazione dello stollo di scolo detto san Francesco.

La “nostra” galleria era scavata con cura e con sezione costante e ben profilata; sapevamo che in quella zona erano situati antichi lavori di ricerca: dapprima pensammo fosse la ricerca detta Laveder oppure la ricerca Cita: queste infatti dovevano essere proprio nei paraggi. Cominciammo l’ispezione, ma entrando per soli 3 metri circa, in quel punto la galleria si abbassava bruscamente da 1,40 m ad 1,10 m e, con la lampada si vedeva che subito dopo si abbassava ulteriormente sino a 90 cm con una larghezza media di 60 -70 cm: il suolo era pieno di fango semiliquido probabilmente portato dalle piene del torrente che passava appena fuori dall'imbocco e che ci rendeva difficile proseguire; constatammo quindi che per continuare nell’esplorazione avremmo dovuto liberare il percorso dai 20-25 cm di melma, non potendo prevedere eventuali pericolose irregolarità sul cammino. Abbiamo impiegato quindi altri due pomeriggi per procedere allo svuotamento, a questo punto abbiamo provato una buona dose di delusione poiché dopo circa 30 metri ci siamo dovuti fermare: eravamo giunti alla fine dello scavo: è stato di conseguenza escluso che si trattasse di una delle ricerche sopra citate, dato il suo corto sviluppo in lunghezza e l’assenza di diramazioni.

Nell’asportare il fango, proprio alla base della parete di fondo, è però venuto alla luce un oggetto molto interessante: uno sgabello di legno (scagnel fig. 3), con molta probabilità usato dal minatore per posizionarsi durante il lavoro: infatti è alto circa 20 centimetri e quindi adatto per far star ‘comodamente’ seduto chi scalpellava in una galleria di 90 cm di altezza (fig. 2) .

  Fig 2: in evidenza la sezione trapezoidale del primo tratto

 Tale sezione permetteva di agire da seduti oppure in ginocchio ed in effetti è stata rinvenuta anche una tavoletta di legno ormai disfatta probabilmente usata proprio per quest’ultimo scopo. Sulle pareti risaltano con evidenza i segni dello scalpello; ricordiamo che nel medioevo un minatore esperto, in un turno di lavoro di 8 ore, avanzava di un centimetro in una galleria di sezione 1,70 m di altezza per 0,80 m di larghezza, in una roccia medio-dura simile a quella incassante della galleria di Valchesina. Il “minerante” che ha qui scavato ha impiegato circa 4 anni ad arrivare in fondo senza trovare nulla di economicamente valido e questo può far comprendere il tipo di vita e i sacrifici delle persone dell'epoca che, se agivano in proprio, per lungo tempo rimanevano senza guadagno effettivo. Il lavoro può essere invece stato frutto di una concessione data ad uno dei vari Signori investiti della ricerca; i minatori in quel caso erano alle sue dipendenze; quest’ipotesi diviene più plausibile della precedente, considerata la disponibilità di tempo manifestata nella cura della lavorazione.

Ma ora vediamo in dettaglio la galleria. Questa si sviluppa con una direzione NNO-SSE, leggermente rialzata rispetto al letto attuale del torrente di circa 1 metro e con l’imbocco a qualche metro della sponda destra; è scavata interamente negli scisti neri (grafitico-carboniosi ), sulle pareti appaiono tracce di mineralizzazioni sotto forma di minerali di alterazione della pirite (limonite), ma non molto accentuate, ed è proprio questo fatto che ha probabilmente portato a decidere per l’abbandono della ricerca dopo soli 30 metri; all'interno della galleria, per tutta la sua lunghezza, a circa 70 centimetri di altezza, vi è una evidente traccia del livello raggiunto dalle acque che devono aver stazionato per molto tempo; il fango ha permesso la conservazione per secoli dei manufatti in legno ritrovati; l’abbassamento in altezza nel proseguo dello scavo, cioè la riduzione al minimo della sezione scavata, corrisponde al metodo classico della realizzazione delle antiche gallerie di ricerca, soprattutto finchè, durante l’avanzamento, non venivano riscontrate tracce interessanti di mineralizzazione.

Concludendo, questa galleria si può definire di importanza esemplare perché unisce alla forma canonica della galleria medievale la qualità del lavoro di scavo, indice delle mani esperte e pazienti dei minatori di Valle Imperina.

( Dino Preloran)

 

[I Notiziari che riportano i precedenti articoli sulle ‘Miniere Scomparse’ dell’Agordino sono:

Not. N° 4 ( Ru de Molin e Bramezza); Not. N° 5 ( Zona compresa tra i torrenti Liera, Biois,

Cordevole e Tegnas); Not. N° 6 ( Col Martinel); Not. N° 7 ( Campo di Giove)]

      Fig3:‘Scagnel’,ritrovato al fondo della galleria                                                                                                                                                                                                                                                    

 Fig 4: immagine del troncone di antico ‘stollo’                                                                          

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