" DI VARIE MINERE

   Di metalli, e d'altre specie di fossili delle montane provincie    Venete di Feltre, di Belluno, del Cadore, e della Carnia, e del Friuli;   e specialmente del sale catartico amaro a base di magnesia scoperto   recentemente in quelle montagne.

MEMORIA MINERALOGICA E CHIMICA

Del Sig. GIOVANNI ARDUINO Professore di Mineralogia, e di Chimica metallurgica, e Pubblico Sopraintendente alle cose Agrarie dello Stato Veneto." 

Lo scritto di Giovanni Arduino, estratto dagli Atti della Società Italiana di Scienze Naturali, TOMO III , Milano - 1789, tratta anche delle miniere di Valle Imperina e Vallalta; viene qui proposta la PRIMA PARTE dell’articolo che le riguarda, trascritta a cura del Gruppo ARCA in caratteri ‘non settecenteschi’, lasciando però intatto il testo:

… Quanto al minerale piritoso, da cui anche oggidì traesi zolfo, vetriuolo e rame, per le notizie statemi comunicate da chi vi ha ingerenza, fu un Francesco Crotta, dal quale deriva l’Eccellentissima Famiglia patrizia dell’istesso nome, che nell’anno 1615, per cessione avuta da certo Angeli, ne intraprese l’indagine; e continuati li sotterranei lavori inutilmente, anzi con gravissime perdite, fino circa al 1629; ebbe allora la felicissima sorte di scoprirne grandissima e doviziosa vena, d’onde se ne sono tratti in seguito rilevantissimi profitti per lui, pe’ suoi successori, per il pubblico, e per altri, che v’instituirono in progresso particolari lavori; ed a beneficio non lieve di quelle montane popolazioni. Presentemente però non vi si esercita la metallurgia che a conto pubblico, e dell’Eccellentissima Famiglia Brandolini, trovandovisi le cave Crotta, e degli altri investiti di quei sotterranei lavori, parte pericolose, parte altamente sommerse dalle acque di detta valle Imperina, per li subissamenti e rovine accadute in varj tempi di alcune delle caverne, che dicono Zecche, ridotte di troppo enorme vastità a forza di trarne la metallifera materia, senza la necessaria cautela di lasciarvi li bisognevoli sostegni.

Delle miniere di rame di Agort, o Agordo, trovasi fatta menzione dal celebre Emanuele Swedemborgio nel suo Trattato che ha per titolo Regnum subterraneum sive minerale de Cupro & Orichalco & c. Paragraf. XIII. Ne ha pure scritto dottamente e con pratica conoscenza il Nob. U. Sig. Agostino Soderini, patrizio Veneto, in tre Lettere sopra l’Arte metallica, pubblicate l’anno 1716 nelli Tomi 26. 27. e 28. del Giornale de’ Letterati d’Italia, stampato in Venezia da Gio. Gabriello Ertz. Tra l’altre varie particolarità mineralogiche, egli vi spiega come di quei minerali si formino le roste per torrefarli, e scacciarne così molto dello zolfo che contengono; e come dello stesso non poco vi si raccolga: come, dopo torrefatti, se ne scelgano le porzioni utili da fondersi, dette tazzoni, e se ne cavi il rame; e come dalla rimanente calcinata materia, non fusibile con utilità, si estragga per lisciviazione e confetti il vetriuolo, e se ne precipiti il rame che vi si trova disciolto, col mezzo del ferro posto nelle caldaie di piombo, mentre nelle medesime si fa bollire e svaporare il liscivo vetriuolico fino al grado espediente per la cristallizzazione di tale specie di sale metallico.

La materia metallifera, di cui costano quelle grandissime vene di detta valle Imperina, è tutta pirite, ma non però omogenea, varia essendo, rispetto specialmente al rame, che unito al ferro, ed a terra non metallica, vi si trova dallo zolfo mineralizzato. La migliore, cioè la più ricca di rame, che là col nome di vena dall’altra si distingue, è d’un giallo analogo a quello dell’ottone, tale che ci viene dalle fabbriche dove si forma; ma quella che poco ne contiene, nomata Chisso, dal Tedesco Kiess, è d’un pallido cinericcio, imitante il colore del misto metallico detto bronzo. Questo Chisso forma il massimo corpo di quei cumuli, o grandissimi filoni che sieno, e la vena testè mentovata vi è dentro sparsa, dove molta, dove poca, e dove scarsissima e rara. Vi si è trovata qualche volta framischiata anche della galena di minuta grana come d’acciaro, molto compatta, assai sulfurosa, e contenente col piombo dell’argento. Io conservo tra li miei minerali alcuni pezzi di quella, che incontravasi non di rado negli scavi minerali dell’Eccellentissima Casa Crotta, la quale via si gettava come materia inutile, anzi dannosa molto alla riduzione del rame; e davasele il nome improprio d’antimonio.

Avvegnachè de’ sopraddetti piritosi minerali, dopo che stati calcinati, o come dicono, arrostiti, molto vetriuolo si ottenga con la lisciviazione, svaporamento, e cristallizzazione; nondimeno sarebbe inconveniente il dar loro il nome improprio di piriti vetriuoliche, considerate nello stato originale, e prima ch’abbian sofferta alterazione. Imperocchè nelle piriti non esiste nativamente il vetriuolo, ma bensì lo zolfo, dalla scomposizione del quale esso deriva. L’etiologia della vitriolizzazione delle piriti trovasi già sì dottamente descritta in parecchie delle Opere di celebratissimi Chimici, ch’io non istarò a farne qui superfluamente repetizione. Agiugnerò solo a questo proposito che lo zolfo entra essenzialmente nelle piritiche concrezioni, una essendo delle loro sostanze costituenti, anzi quella per cui piriti si nomano.

Lo stesso può estrarsene a piacere, sì con appropriati dissolventi, che col mezzo della distillazione; ma non così il vetriuolo, se non se dopo che, per sopravvenuta alterazione, e nuova modificazione del combinamento de’ loro principj atti a produrlo, non siavisi generato: lo chè è parimente vero rispetto alla formazione dell’allume, quando la di lui terra specifica trovasi mista nel naturale piritoso composto.

Ora ritornando a favellare della valle Imperina, la quale discendendo dalla montagna di Gona (così chiamata nel secolo XVI.) scorre verso oriente a scaricare le sue acque nel Cordevole, uno dei formidabili influenti del fiume Piave, le miniere, delle quali ho sopra parlato, secondano con la sotterranea loro estensione in lunghezza l’andamento della medesima valle; come appare da’ disegni rappresentanti diverse delle fattevi escavazioni, esistenti nell’Officio degli Eccellentissimi Signori Deputati dall’Eccelso Consiglio di Dieci sopra le minere.

Partendosi dall’Imperina, e valicato il monte di Gona, scendesi, progredendo verso occidente, nella valle delle Monache, detta valle alta, la quale divide il distretto di Agordo, provincia Bellunese, dal Territorio di Feltre; e più in alto, dove nomasi valle Pezzea, confina il Feltrino con l’estere Pertinenze di Sagron della Contea di Primiero.

Prossime all’alveo d’essa valle delle Monache, dalla quale deriva il torrente Mis, discendente tra rupestri scoscese montagne a scaricarsi nel fiume Piave, io visitando quei luoghi nell’autunno dell’anno 1744 vidi grande quantità di scorie delle miniere che colà escavavansi. Le medesime minere, e gli edificj fusorj, che ivi furono, nell’anno 1570 appartenevano alli sopradetti fratelli Pietroboni d’Agordo, come rilevasi dal precitato Processo, dal quale appare che il metallo estratto dai minerali di questa valle, detta allora canale del Mis, era il rame.

Nei monti appartenenti al territorio Feltrino, che costeggiano la prefata valle nel destro suo lato, si è, non ha guari, escavata minera cinerea di rame molto ricca di argento, sparsa a filoncini, a spruzzi, e massette, per entro grosso filone di ferreo saptiforme di colore castagno. Ne ha cessato il lavoro perché a certa profondità l’argentifera materia, per quanto ho inteso da chi ne aveva la direzione, troppo scarsa s’incontrava, e la spesa di andare in traccia riusciva troppo gravosa, e l’esito incerto.

Nella medesima catena de monti Feltrini, dov’essi confinano con quelli della Contea di Primiero, mediante la dianzi nominata valle Pezzea, sonovi delle vene di argento vivo mineralizzato, o come da altri vuol dirsi, mascherato dallo zolfo sotto la consueta forma cinnabrina. Vi è disposto a piccoli filoncini in matrice argillosa d’un cinereo nericcio, tra le pietre calcarie; ed il cinnabro, entro sparso in essa matrice, è sovente misto con piriti ferreo-sulfuree, che stando esposte all’aria non tardano molto a cadere in fatiscenza e vitriolizzarsi: come ho veduto nei saggi che ancora ne conservo.

Nel suddetto anno 1744 io vidi le cave che allora vi si facevano a conto Pubblico; e dopo qualche tempo fui presente a parecchie distillazioni dell’argento vivo dalle materie minerali colà raccolte: operazioni che si effettuavano nell’Officina detta di Partioro del fu Sig. Antonio Cason in quest’inclita Capitale. Ne cessò poi il lavoro, forse per non bene diretta economia; e quelle mercuriali fodine rimasero lungo tempo totalmente abbandonate. Ora però sonovi nuovamente aperte a spese di particolari investiti, ma i minerali che se ne raccolgono non più qua si trasportano; essendosi conosciuto assai più economico il farne distillare nel luogo istesso, d’onde si cavano, il mercurio: lo che si eseguisce con storte di ferro fuso, come si pratica nel Ducato di Dueponti ed in altri vicini paesi per le miniere di simil fatta.

Ho da più Soggetti inteso dirsi, che in quei contorni, ed in qualche altro luogo delle montagne provincie, che ho già anteriormente nominate, siensi trovati indizj di vene mercuriali; ma non ne è però stato ancora intrapreso alcun lavoro, pochissimi essendo quelli che vogliono impegnarsi in imprese sì dispendiose, e di troppo rara utile riuscita. Trattandosi nondimeno di argento vivo, ora molto accresciuto di prezzo, e così facile da estrarsi per distillazione da’ suoi minerali, non solo con vasi, ma anche con gran forni, come si fa nelle famose grandissime miniere mercuriali di Almaden della Spagna, e d’Idria nella Carniola; e senza bisogno di quei vasti dispendiosi edificj, che pel trattamento dell’altre miniere metalliche sono necessarj; esso sembrami meritevole di accurate indagini, e di ben intesi e diretti tentativi dove trovasi dare di sé chiari segni.

Agli studiosi della Fisica del regno sottile mi lusingo possa essere gradevole il riflesso che le vene metallifere state finora scoperte nelle suddette valli, Imperina, delle Monache, Pezzea, sonovi trovate o tramezzo, o vicine al congiungimento delle montagne calcarie, dette anche cretose, con quelle di schisti cornei, e quarzo-micacei, detti Eneuss dai Sassoni Mineristi, e d’altre varie sorti d’analoga vitrescente, o non calcinabile natura.

 

Estratto dagli Atti della Società Italiana di Scienze Naturali

TOMO III , Milano - 1789

 

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