La datazione assoluta mediante

il metodo al radiocarbonio

    Fra i numerosi sistemi attualmente utilizzati per la datazione assoluta di reperti, o resti organici, quello senz’altro più utilizzato o forse semplicemente più conosciuto è il metodo basato sulle analisi di tipo radiometrico detto metodo al radiocarbonio.

    Tale metodo sfrutta una particolare proprietà degli elementi chimici; infatti il nucleo degli atomi di ogni elemento possiede un numero fisso di protoni, con carica elettrica unitaria positiva, al quale corrisponde un numero analogo di elettroni di carica unitaria negativa, disposti sui vari orbitali esterni al nucleo; per ogni dato elemento, nel suo nucleo coesistono protoni e neutroni; questi ultimi sono particelle dotate di massa ma non di carica elettrica; il numero dei neutroni, al contrario del numero dei protoni, può variare in modo più o meno elevato; i nuclei con diverso numero di neutroni vengono definiti “isotopi” dello stesso elemento.

    Nel nucleo di un atomo di carbonio, elemento principe per la datazione di resti organici e che possiede 6 protoni, si possono osservare quantità diverse di neutroni. Il carbonio nella sua forma più comune (12C) presenta, oltre ai 6 protoni, 6 neutroni: è quindi caratterizzato da un numero atomico pari a 6 e da un numero di massa (peso atomico) pari a 12. Un suo isotopo è il carbonio 14C: il nucleo contiene 6 protoni e 8 neutroni.

    Quasi tutti i nuclei degli elementi chimici possono avere peso atomico variabile e quindi possedere più isotopi dello stesso elemento; una caratteristica di tali isotopi è di non essere completamente stabili, o meglio tra le varie configurazioni isotopiche di uno stesso elemento vi sono nuclei stabili e non; questi ultimi vengono definiti ‘isotopi radioattivi’ o ‘radioisotopi’.

    In natura, possono generarsi isotopi radioattivi ed hanno un numero di neutroni differente da quello presente nel nucleo più stabile; tali nuclei tendono ad avvicinarsi il più possibile alla forma di nucleo stabile attraverso un fenomeno conosciuto come “decadimento radioattivo” durante il quale vengono emesse particelle veloci e quindi energia. (emissione radioattiva). Anche l’uomo, dall’avvento dell’era atomica in poi, riesce a generare radioisotopi.

    Una delle caratteristiche fondamentali del decadimento è il “tempo di dimezzamento” (T/2), ossia il tempo necessario affinché la quantità iniziale di un isotopo si dimezzi e si trasformi in un altro più stabile. Ogni isotopo di un elemento chimico è caratterizzato da un T/2 differente: si può passare da microsecondi (si pensi all’esplosione di una bomba atomica) a milioni di anni; per questo motivo, in base al periodo da indagare, deve essere scelto l’isotopo che sia adeguato all’età che si vuole misurare.

    Per il carbonio, il tempo di dimezzamento dell’isotopo instabile 14C (due neutroni in più della norma) è di 5730±40 anni. Il 14C si genera dall’azoto, a causa del bombardamento effettuato dai protoni nell’alta atmosfera, si lega all’ossigeno e poi forma anidride carbonica: entra così nella catena del mondo vivente; il metodo del radiocarbonio assume come ipotesi che la sua percentuale nell’aria sia costante da sempre; da ciò si può dedurre che la misura della quantità residua di tale elemento permette, di fatto, di effettuare una datazione assoluta dei resti organici: infatti, finché l’essere vivente respira, o sintetizza la clorofilla, l’anidride carbonica presente nell’aria, formata anche col 14C, viene assimilata e fissata nell’organismo in quantità statisticamente costante; è poi a partire dalla morte dell’organismo che il carbonio radioattivo contenuto nei tessuti non viene più rinnovato, ed è quindi da tale momento che inizia la riduzione della sua quantità.

Pregi e difetti del metodo al radiocarbonio:

    Riguardo alla bontà della misura risulta fondamentale il fatto che il tempo di dimezzamento di un elemento non è influenzato da fattori ambientali; esso rappresenta quindi un fattore essenziale ai fini della datazione assoluta di un reperto di natura organica; con una semplice formula matematica è possibile stabilire l’età dell’oggetto, o dello strato, contenente il radionuclide indagato ( per esempio campioni di carbone, ossa, legno, etc ).

    Un limite alla datazione di reperti molto antichi è invece imposto dal valore del ‘T/2’ del carbonio: l’andamento del decadimento ha forma esponenziale, e quindi per il completamento di tale processo deve passare un tempo pari a otto volte T/2; pertanto i reperti da datare non possono avere più di 45.000 anni circa BP (con BP, cioè ‘Before Present’, si intende calcolare il tempo a partire dal 1950).

    Un altro limite è dato dal fatto che la concentrazione di 14C nell’atmosfera si è rivelato in realtà non essere costante nel tempo, come invece presupposto nella ipotesi precedente: la sua variabilità è dovuta ad una serie di fenomeni sia naturali che artificiali; per le misure di tempi riguardanti l’archeologia, incidono le variazioni del flusso protonico proveniente dal sole, perciò il metodo del radiocarbonio va successivamente calibrato e a tale fine viene attuata in parallelo l’analisi di tronchi fossili (dendrologia); sono stati così costruiti dei grafici di “calibrazione” tra gli anni “radiocarbonici” e quelli ‘dendrologici; questa comparazione permette di ‘ritarare’ con buona precisione la concentrazione del 14C: è stato così possibile ottenere la datazione effettiva del materiale esaminato, con un modesto margine di incertezza, retrocedendo nel tempo fino a circa 10.000 anni dal presente; per tempi più remoti il margine di errore risulta maggiore. Per concludere, avvertiamo dell’esistenza di altri problemi che rendono delicata la datazione al radiocarbonio, come ad esempio la contaminazione dei reperti con tracce di carbonio più recente o più antico, ma di questi aspetti ne parleremo in altra occasione.

Maurizio Olivotto

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