Indagini di scavo in un importante insediamento neo-eneolitico nella valle dell’Ardo ( Bl )

 

UN MOMENTO DELLA CAMPAGNA DI SCAVO 

  DEL 2000 IN VALLE DELL’ARDO

 

 

    In seguito a prospezioni mirate alla ricerca di antiche frequentazioni umane nella Valle dell’Ardo, alcuni soci degli Amici del Museo di Belluno: R. Stracuzzi, U. Dalla Longa, P. Viel rinvennero, nella primavera 1988, un gruppo di importanti manufatti in rame e in bronzo, ritrovamento di cui fu messo immediatamente a conoscenza il funzionario di zona della Soprintendenza Archeologica del Veneto, dottoressa Elodia Bianchin.

    Dopo ulteriori ricerche di superficie (C.Mondini, A.Villabruna) si recuperarono altresì numerosi manufatti in selce e frammenti di ceramica vascolare che indicavano una persistenza culturale prolungata del sito che a grandi linee si sviluppò dalla fase finale del neolitico all’età del bronzo recente-finale con sporadiche presenze anche nell’età del ferro e in periodo altomedievale.

    Il successivo sopralluogo da parte della Soprintendenza nella persona della dott.ssa E. Bianchin, metteva in evidenza l’importanza del sito così da formulare un progetto di indagini di scavo che si realizzò in breve tempo con due successive campagne effettuate nei mesi di agosto degli anni 1999 e 2000.

    L’attività di ricerca, condotta sotto la direzione scientifica della stessa dott.ssa E. Bianchin, è stata coordinata dall’operatore archeologo dott. Italo Bettinardi con l’assistenza nello studio geomorfologico del dott. Giulio D'Anastasio; la realizzazione dell’iniziativa è stata resa possibile grazie all’intervento finanziario della Fondazione Cassa di Risparmio di Ve, Vi, Bl e An e del Comune di Belluno-Assessorato alla Cultura, nonché all’opera di numerosi volontari, appassionati in materia e studenti, dell’Associazione Amici del Museo.

    Si è attivata inoltre per la prima volta in ambito bellunese una fattiva cooperazione con altri gruppi archeologici quali quello Cenedese e quello Corbanese della zona Vittoriese, ma soprattutto con quello agordino dell’Arca che ha concorso con un essenziale e continuo appoggio all’intera campagna di scavo.

    L’allargamento collaborativo ad altri gruppi archeologici, superando certe ottiche particolaristiche e limitative, si è dimostrato proficuo e ha permesso di instaurare un clima di lavoro e di gruppo sereno ed estremamente produttivo che ha portato al raggiungimento di ottimi risultati anche sul piano della ricerca archeologica.

    Le indagini di scavo incentrate su un’area di 36 mq. hanno restituito una grande quantità di reperti di cultura materiale e lasciano intravedere la presenza di strutture insediative come terrazzamenti artificiali e muri di difesa.

    A diverse migliaia assommano i manufatti litici raccolti fra cui si evidenziano numerosi strumenti e residui di lavorazione che sottendono l’intero ciclo operativo di lavorazione della selce per la produzione di utensili finiti.

    Vario per qualità e cromatura è lo sfruttamento della materia prima per confezionare gli strumenti: la selce che si presenta generalmente nelle sue varietà prevalentemente grigie, rosse e beige.

    Ipotesi preliminari sulle fonti di approvvigionamento della selce lasciano pensare che quella grigia potesse essere raccolta dai numerosi affioramenti in posto nella Valle dell’Ardo, mentre per la selce rossa i luoghi di provenienza dovrebbero essere ricercati un po’ più a valle, nei più rari affioramenti di scaglia rossa dislocati nei pressi delle Case Bortot, ma più probabilmente nei più ricchi giacimenti del vallone bellunese rinvenibili lungo quell’area prossima al crinale prealpino compresa fra Trichiana e Lentiai.

    La qualità della selce rossa offre ottime caratteristiche per la pratica della scheggiatura, mentre per impurità e presenza di frequenti piani di frattura naturali la selce grigia, seppur più abbondante nel sito poiché locale, si presta in modo più scadente alla lavorazione.

    Le centinaia di nuclei ( blocchetti di selce scheggiata per produrre supporti su cui confezionare strumenti ) ci indicano come la selce fosse lavorata all’interno del villaggio per la produzione di schegge, lame, lamelle, raschiatoi, grattatoi, punteruoli, troncature, bulini, bifacciali, incavi, ritoccatori: utensili usati quotidianamente per le varie attività di queste comunità preistoriche.

    Un rilievo particolare assumono nel complesso litico della Valle dell’Ardo, le punte di freccia; in un areale di scavo limitato a soli 36 mq. sono state recuperate ben 130 cuspidi che danno un’impronta e forse forniscono la chiave di lettura sull’effettiva funzionalità del sito.

L’alto indice di armature e la pressochè ( in base alle prime e non ancora precise analisi sui residui ossei animali resti di pasto ), totale assenza di fauna selvatica in contrasto con la forte comparsa di animali domestici quali caprovini e bovini, lascia intuire un quadro economico strettamente legato all’allevamento e alla pastorizia con conseguente utilizzo delle numerose punte di freccia rivolto più che all’attività venatoria, a funzioni difensive che si rispecchiano nella conformazione morfologica dell’insediamento, posto al centro della valle, arroccato su un alto rilievo a controllo verosimilmente delle vie di transumanza che conducevano agli alti pascoli del bacino del torrente Ardo. 

    Nel tentativo di delineare il quadro di economia di sussistenza delle comunità che si sono insediate per lungo tempo nella valle dell’Ardo, oltre all’allevamento, un ruolo non del tutto secondario sembra assumere la pratica agricola, documentata dal ritrovamento di una quarantina di elementi di falcetto ( elementi litici che andavano inseriti in serie in un supporto ligneo od osseo con funzione di falce a mano ), oltre a uno splendido coltello messorio di grandi dimensioni ed alcune macine adibite alla molitura di cereali.

    Se il panorama ambientale dell’antico insediamento sviluppatosi in una zona estremamente selvaggia e tuttora disabitata, pare mostrarci una comunità fortemente chiusa in sé stessa, questo quadro viene completamente ribaltato dal ritrovamento di particolari reperti che richiedevano apertura verso il mondo circostante e circolazione e baratto di materie prime a vasto raggio geografico. 

    Il recupero nello scavo di diversi frammenti di cristallo di rocca, minerale inesistente nella nostra provincia e reperibile invece in Alto Adige o in Austria, ma ancora più il ritrovamento di due manufatti in ossidiana ( fino a oggi se ne potevano contare due unici esemplari in tutto il Veneto ) le cui originarie aree di provenienza sono limitate alle sole isole Lipari, di Palmarola, in Sardegna o nei Carpazi, rappresenta la diretta testimonianza degli ampi contatti culturali ed economici che le comunità della Valle dell’Ardo mantenevano con altri gruppi umani neo-eneolitici.

    In mancanza, relativamente a un progetto di ricerca appena iniziato, dell’individuazione di sicure sequenze stratigrafiche, si può azzardare un primo tentativo di inquadramento cronologico del sito della valle dell’Ardo in base a comparazioni tipologiche dei materiali litici, ma soprattutto ceramici. La presenza di frammenti vascolari con decorazioni a incisioni e impressioni sembra riportare i primi momenti insediativi a quel periodo del neolitico recente denominato terza fase della cultura dei vasi a bocca quadrata altrimenti detta, rifacendosi agli stilemi decorativi operati sui vasi generalmente plasmati con l’imboccatura quadrata: “ a stile a incisioni e impressioni “ (  fine IV millennio a.C.), ma compaiono altresì frammenti vascolari decorati da cordoni plastici diteggiati, motivi di probabile influenza nordalpina.

    Altri reperti rimandano invece più marcatamente all’età eneolitica ( III millennio a.C. ).

Uno degli aspetti più significativi dell’indagine archeologica in corso è il ritrovamento di un consistente gruppo di bronzi di notevole importanza e di diverse età.

    A un periodo compreso tra la fine dell’età eneolitica ( si attendono però gli esiti delle analisi metallografiche ) e l'inizio dell'età del bronzo dovrebbero appartenere due asce presumibilmente in rame rinvenute assieme ( probabile tesoretto ), una di forma trapezoidale simile a quella scoperta accanto all’uomo di Similaun ed un’altra, di tipologia più rara, ad occhio con foro per l’immanicatura.

    Mentre in situazione di degrado e frana, lungo un erto pendio ai bordi di un dirupo, sono stati recuperati alcuni oggetti che per caratteristiche potrebbero aver fatto parte di corredi funerari, ne sono esempio le decine di vaghi di collana in rame, forgiati tutti nella stessa fattura oltre a una grande spirale in filo di rame e un rasoio a doppio taglio in bronzo decorato con motivi geometrici che trova corrispondenza con altri pochi esemplari nel Veneto e in uso in Italia nell’età del bronzo finale, circa 3000 anni fa. Da ricordare inoltre due lesine forse in rame e un originale pendaglio in bronzo. Concludono la raccolta di manufatti metallici un grande bracciale di metallo non ancora definito, una piccola placchetta votiva paleoveneta con decorazioni a sbalzo e alcuni coltelli in ferro verosimilmente attribuibili all’età altomedievale.

    Un piccolo saggio di scavo effettuato sull’apice nord del sito, l’unico tratto raggiungibile a piedi in quanto tutto il complesso archeologico risulta arroccato e circondato da profondi dirupi, ha portato alla luce una struttura difensiva formata da un muro a secco ormai collassato che doveva racchiudere l’abitato nella sua parte più vulnerabile.

    Il programma di ricerca organizzato per l’agosto 2001 prevede pertanto lo scavo e lo studio delle strutture murarie e dei terrazzamenti presenti nel sito e la definizione stratigrafica e cronologica degli avvicendamenti antropici nell’insediamento che per interesse sembra configurarsi come uno dei più importanti del Veneto in età neo-eneolitica.

Carlo Mondini

 

Hanno partecipato agli scavi:

dott.ssa Elodia Bianchin Citton (direttore scientifico), dott. Italo Bettinardi (direttore di scavo), le studentesse Federica De Carli (Università di Padova), Alessandra Fregona (Università di Venezia); per gli Amici del Museo di Belluno: Maurizio e Michele Barazzuol, Pierpaolo Bassanello, Giorgio Bristot, Ugo Dalla Longa, Bruno De Mattia, Paola De Mattè, Valerio Lovat, Carlo Mondini, Marinella Reolon, Roberto Stracuzzi, Marco Trevisan, Paolo Viel, Aldo Villabruna; per la Fondazione Giovanni Angelini: Piergiorgio Cesco Frare; per il Gruppo Archeologico Arca di Agordo: Erica e Gabriele Fogliata, Mirella Munaro, Marta Monestier, Attilio Da Ronch, Maria Rosa Salmazo; per il Gruppo Archeologico del Cenedese: Gianni Longo, Giovanni Testori; per il Gruppo Corbanese: Roberto Favero; hanno inoltre partecipato i sig.ri Nadia Barp, Bianca Simonato, Elena Turro e il dott. Stefano Bertola (Università di Ferrara).

    Si ringraziano la Fondazione Cassa di Risparmio di Verona, Vicenza, Belluno e Ancona, il Comune di Belluno, Assessorato alla Cultura e il Museo Civico, per i contributi finanziari che hanno reso possibili le indagini archeologiche, la ditta del geom. Dino Zanin di Valdobbiadene per l’elaborazione gratuita del Piano Operativo di Sicurezza e i sig.ri Renzo Gallina, Renzo Tognon, Raffaella Vedova per la preziosa opera di disboscamento e pulizia preliminare del sito.

 

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